Quello che nessuno dice sui derivati

Mi sono stancato di leggere lunghi e documentati articoli sui derivati che dicono tutti più o meno la stessa cosa: che i derivati sono tanti, sono troppi, sono oscuri, sono pericolosi.

Da quando è scoppiata la crisi, poi, la letteratura sui derivati gareggia con quella sulle cospirazioni, quanto a volumi prodotti e capacità di dire tutto e il suo contrario. C’è chi dipinge i derivati come l’origine dei mali dell’umanità, forte della circostanza che per la maggior parte si tratta si strumenti  esotici e quindi incomprensibili per il grande pubblico. C’è chi dice che invece sono uno strumento importante per la gestione del rischio e la produzione di liquidità.

Raramente però mi è capitato di leggere la cosa più importante. Ossia che i derivati fanno parte da trent’anni dell’architettura finanziaria globale e il loro sviluppo è stato la conseguenza della creazione di una nuova tecnologia di pagamento: il credito infragiornaliero (intraday), che ha rivoluzionato il sistema internazionale dei pagamenti. I derivati, insomma, non avrebbero mai potuto svilupparsi così tanto se non avessero avuto alle spalle un sistema creditizio capace di sostenerli.

Tutti quelli che si lamentano dei derivati, insomma, tendono a scambiare il dito con la direzione. L’epifenomeno, con il fenomeno.

Farebbero meglio a lamentarsi, se proprio devono, del livello abnorme raggiunto dal credito (ossia dal debito) sul Pil a livello globale. Ma se lo facessero dovrebbero anche dire che proprio tale sviluppo abnorme ha consentito un livello di benessere per tante parti del mondo mai raggiunto prima nella storia.

Tutto si tiene.

Altrove ho già parlato della differenza fra moneta legale e moneta bancaria. Quest’ultima ha guidato l’espansione del credito, e quindi della liquidità, negli ultimi tre secoli. Ma il grande balzo iniziato dalla fine degli anni ’70, quando l’ondata di liberalizzazione dei capitali ha provocato quella che gli storici chiamano “finanziarizzazione” dell’economia, ha ulteriormente innovato, accelerandolo, il processo di creazione della liquidità, costringendo a ripensare tutti i meccanismi di regolazione e controllo. Se si ignora questo processo, non si capisce cosa ci sia sotto i derivati e perché siano sistemicamente rilevanti.

Faccio un piccolo passo indietro. Nel 1973 due economisti, Ronald McKinnon e Edward Shaw, introducono il concetto di “repressione finanziaria” per caratterizzare lo stato dell’arte dei sistemi finanziari nel mondo, dove erano presenti forti restrizioni all’ingresso nel settore bancario e controlli sui movimenti di capitali.

L’epoca della stagflazione, ossia di stagnazione e inflazione, che caratterizzò gli anni ’70, ebbe come conseguenza la reazione a questo stato di cose, culminata col processo di liberalizzazione, che ebbe effetti sia sull’attività bancaria che sul movimento dei capitali.

Comincia l’esplosione del credito che il grafico che intitola questo blog illustra meglio di mille parole.

Per il mondo finanziario è l’inizio di una rivoluzione che trova proprio negli strumenti derivati il suo alfiere, visto che si tratta si marchingegni molto elastici e facilmente replicabili.

L’idea che sottostà a tali prodotti, ossia la “mercificazione dei rischi” e quindi la possibilità di distribuirli vendendoli, come è stato efficacemente detto, si dimostra vincente.  Alla metà degli anni ’80 i derivati erano ancora “invisibili”. A metà degli anni ’90 il loro valore nozionale (quindi il valore facciale stimato dei contratti) superava i 20 mila miliardi di dollari. Agli inizi del XXI secolo eravamo già oltre gli 85 mila miliardi. A metà dell’anno scorso, secondo i dati della Bri, eravamo arrivati a circa 670 trilioni di dollari, più o meno dieci volte il Pil del mondo.

Questo spiega perché se ne parli così tanto. Mentre non si parla mai delle loro implicazioni sistemiche.

Il problema è che tale montagna di obbligazioni, perché tali sono i derivati da un punto di vista giuridico, deve essere sostenuta da un’infrastruttura finanziaria, ossia da un universo di entità che deve consentirne la circolazione e il pagamento. Specie quando tale pagamento viene per lo più regolato nell’arco dell 24 ore.

E qui arriviamo al punto: l’esplosione del volume dei derivati è direttamente collegata allo sviluppo del credito intraday, ossia di una modalità di credito che, a differenza del semplice credito bancario, è molto più concentrato e assai più opaco. Nei bilanci delle banche, pubblicati a cadenza trimestrale se va bene, appaiono solo i resoconti di queste “giornate vissute pericolosamente” sotto forma di profitti o perdite. Ma pochi sanno come si comportino le banche mentre operano.

Quello che dovremmo sapere, infatti, e che raramente ci viene detto quando leggiamo di derivati è che ormai la stragrande maggioranza delle operazioni cominciano e finiscono nell’arco della giornata operativa. Questo  nuovo modo di procedere, per essere sostenuto, ha bisogno di poter contare su liquidità sufficiente, pena un rovinoso credit crunch. Abbiamo visto proprio il congelamento del credito intraday nei giorni terribili dell’inizio della crisi finanziaria.

Da lì a poco sarebbe fallita Lehman Brothers.

Il credito intraday, quindi, è l’ultima frontiera dell’innovazione creditizia. La vera novità che ha cambiato la storia bancaria. Equiparabile alla prima banconota o al primo deposito.

Alcuni studi mostrano che nei decenni in cui il volume dei derivati cresceva di livello, la domanda di moneta a fini transattiva, in rapporto al Pil, rimaneva stabile mentre cresceva la quantità complessiva di moneta. L’unica spiegazione possibile, di conseguenza, è che l’incremento di tale volume sia stato sostenuto da un aumento della velocità di circolazione della moneta. Ricordo che, secondo la teoria quantitativa della moneta, l’offerta di moneta risulta dalla moltiplicazione della massa monetaria per la velocità di circolazione.

Ma se aumenta la velocità di circolazione, significa che cresce il numero di transazioni. E un aumento esponenziale delle transazioni implica che si accorci sempre più l’arco di tempo nel quale si svolgono. Ecco perché all’aumento esponenziale delle transazioni ha corrisposto lo sviluppo inusitato del credito intraday, categoria già esistente prima degli anni ’80, ma ancora “dormiente”.

Per farla semplice: i derivati sono la benzina, il credito intraday l’automobile. Ma senza l’automobile la benzina non esisterebbe. Al contrario di quanto accade nel mondo reale.

Il presupposto perché tale sviluppo dei derivati sia possibile, tuttavia, è che essi siano sempre perfettamente liquidi. Che, quindi, ci sia sempre qualcuno che li compri. Ciò implica che in ogni momento della giornata chi è chiamato a intermediare queste operazioni abbia la possibilità di attingere costantemente ad ampie provviste di liquidità per regolare le proprie pendenze. E l’unica fonte capace di garantire una simile cornucopia sono le banche centrali.

Sono le banche centrali a sostenere il credito intraday, che si potrebbe rappresentare come una montagna di transazioni interbancarie destinate ad essere aperte e chiuse nell’arco della giornata operativa. E sono proprio loro, all’inizio di questo processo, a doversi fare carico degli intoppi. Nel corso della giornata operativa, infatti, può succedere che molte banche si trovino esposte per valori molto superiori al propri patrimonio. E se qualcosa va storto è la banca centrale a doverci mettere una toppa, “monetarizzando” gli eventuali scoperti, salvo poi sterilizzarli.

La storia ci fornisce alcuni esempi. Nel 1985 un problema di calcoli sbagliati mise la Bank of New York, banca che operava nel mercato dei titoli americani, nell’impossibilità di chiudere gli impegni presi nel corso della giornata. Per evitare il dissesto, la Fed aumentò la base monetaria del 10% in un giorno, usando come garanzia l’intero attivo patrimoniale della banca.

Da allora sono cambiate molte cose, ma la sostanza è rimasta la stessa: il credito intraday fra operatori finanziari è diventato il principale fattore di rischio/vantaggio di chi fa girare i soldi. Sono stati affinati i processi di regolazione, e le banche centrali hanno iniziato a farsi pagare (prima era gratis) per la liquidità che mettono a disposizione degli operatori finanziari, anche a fronte del versamento di garanzie (prima non era necessario). Ma soprattutto si sono affermate decisamente le clearing house, stanze di compensazione o controparti centrali che dir si voglia, che hanno finito col diventare protagoniste di questa montagna di transazioni giornaliere.

Queste entità hanno il compito di garantire la liquidità degli scambi sul mercato dei derivati, ma ormai anche dei titoli azionari, assumendosi il rischio di inadempienza, ma al contempo aumentando la liquidità sul mercato, come se non fosse mai abbastanza. In Italia, ad esempio, opera la Cassa di compensazione e garanzia, società controllata da Borsa Italiana, mentre all’estero ci sono colossi come gli europei LCH.Clearnet ed Eurex o l’americano CME group.

Questi colossi, che via via si stanno concentrando sempre più, intermediano quotidianamente volumi enormi di scambi sulle loro piattaforme, caricandosene i rischi relativi e lucrando enormi guadagni di intermediazione. Perché un’altra cosa che raramente si ricorda, quando si parla di derivati, è che sono una fonte enorme di profitto, non tanto per quelli che li comprano o li vendono, ma per quelli che li fanno circolare.

Le commissioni che gli intermediari lucrano facendo girare questa carta è un’altra di quelle cose di non si parla quasi mai, quando si discute di derivati.

Chiaro che questo Eldorado faccia gola. Di recente il Financial Times ha riportato il grido d’allarme lanciato da alcuni gruppi bancari internazionali, secondo i quali le clearing house non sarebbero capitalizzate abbastanza per reggere l’urto della marea montante delle transazioni che sono chiamate a garantire. Fa un po’ ridere che la banche, da sempre accusate di essere sottocapitalizzate, rivolgano la stessa accusa alle nuove “concorrenti”, ma così va il mondo.

Peraltro il peso specifico delle clearing house è aumentata notevolmente dopo l’esplosione della crisi, quando i regolatori internazionali hanno iniziato a puntare sul loro sviluppo per evitare di caricare di rischi le solite grandi banche, già pesantemente esposte. Le stesse che oggi lamentano che tali rischi non sarebbero sostenibili da parte di queste controparti centrali perché sottocapitalizzate o perché accettano collaterali incerti come i bond a garanzia dei margini.

In gioco c’è la torta dei derivati over the counter (OTC), quindi non quotati, che i regolatori vorrebbero fossero intermediati dalle clearing house e che invece le banche vorrebbero tenere per sé, visto che rappresentano la stragarande maggioranza dei volumi nozionali in circolazione e la più grande fonte di profitto.

Su tutto questo aleggiano le banche centrali, che lottano per mantenere la loro responsabilità sul sistema dei pagamenti, messo a dura prova dall’esplosione del credito intraday, a fronte della tentazione della privatizzazione strisciante che arriva dai grandi gruppi bancari internazionali.

Come si vede, cambiano i tempi, i discorsi si fanno più complessi, ma il succo è sempre quello: si continua a voler far soldi con i soldi e si lotta fra entità per decidere a chi tocchi la fetta più grossa. Tali processi, vale la pena notarlo, vengono discussi e decisi a livello sempre più sovranazionale da entità tecnico-giuridiche che poco a nulla hanno a che fare con i meccanismi classici della rappresentanza politica.

Fare soldi, con i soldi, senza alcun controllo democratico.

Forse è questo è il vero problema.

Altro che i derivati.

Un Commento

  1. Amedeo Levorato

    La soluzione c’e’, ma può essere frutto solo di una forte volontà politica internazionale, da “patto di Yalta”: una Tobin Tax scalare una tantum per operazione di tipo esponenziale su transazioni liquide transnazionali a livello globale: muovi 10.000, 1%, muovi 100.000, 3%, muovi, 1.000.000, 7,5%, muovi un bilione, 20%. In questo modo si incrementa la stabilità di lungo periodo degli investimenti e si “tosano” i soldi fatti con i soldi. Ad esempio, spostare uno o due miliardi di euro deve costare quanto l’IRR prospettico atteso dall’operatore per almeno un anno. Soluzione pesante ma risolutiva.

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    • Maurizio Sgroi

      Salve,
      tecnicamento la capisco, ma mi sembra difficile che tutto il mondo abbia un sussulto di buonsenso. Sempre per citare Yalta: mancano gli equivalenti dei russi e degli americani di allora.
      a meno che la crisi non picchi ancora più duro. solo in questi casi, infatti, si sono visti sussulti regolatori internazionali prendere piede. ma se così fosse, mi piacerebbe immaginare un principio molto semplice che certo non ho inventato io, che sono un dilettante, ma persone più avvedute di me: bisogna togliere al denaro il suo ruolo di riserva di valore. ad esempio mettendo tassi negativi sui depositi. in questo modo entrerebbe in crisi il mercato dei capitali, ma forse ripartirebbe il mercato dei beni.
      grazie per il commento

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      • legione del sole

        Non ho ancora letto l’articolo, e come di frequente parto dalla fine. Questo tuo ultimo commento mi sembra ECCEZIONALE: qualcuno che comincia a voler togliere valore al denaro (anche se solo in riserva)!! Sarebbero argomenti interessanti da sviluppare.
        Se puoi facci pervenire qualche riferimento su coloro che dici essere più avveduti di te su questo genere di proposte.
        Grazie e buone cose,
        Cyrus

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  2. Luciano Sturaro

    Mi chiedo: Per l’economia reale sarebbe la stessa cosa se le operazioni finanziarie, anziche chiudersi in giornata, si chiudessero in a fine settimana o a fine mese? Ancora :Se si chiudessero a fine settimana o a fine mese servirebbe tanta liquidità e, quindi, tanti derivati? Inoltre: Si può avere liquidità sufficiente senza attivare o far cicolare corrispondenti derivati?
    A mio avviso, se le operazioni finanziarie si chiudessero settimanalmte o mensilmente,ogni transazione finanziaria, anche quelle che rigurdano l’economia reale,resterebbbero nel “limbo”per una settimanao o un mese con le conseguenti incertezze e rischi per i tradizionali opreratori dell’economia reale.
    Inoltre non voglio neppure immaginare le conseguenze per l’economia reale se alla chiusure delle transazioni finanziarie,giornaliera, settimanale o mensile che sia, una delle parti non fosse solvibile per carenza di liquidità quel fine giornata, quel fine settimana o quel fine mese. Sarebbero tragedie continue.
    Non so se quello attivato sia il sistema migliore,penso sicuramente che sia migliorabile e anche molto, ma certamente tanti critici lo sono per mestiere e non si rendono conto delle conseguenze delle loro proposte, spesso assurde.
    Io mi limito ad osservare che, al di la dei grandi guadagni, forse eccessivi, che ci sono le cose fiunzionano discretamente,anzi funzionavano bene prima dell’attuale crisi, che è crisi di fuducia che, però, trascina nel baratro l’economia reale.
    I derivati hanno fatto male all’economia reale quando le banche li hanno ceduti con l’inganno ad aziende ignare, accollando dolosamente rischi impropri a chi operava nell’economia reale.
    In Europa e non so nel mondo, ciò è avvenuto con il benestare dei governi, che avevano l’unico scopo di non disturbare le banche, affinchè sottoscivessero i loro titoli di debito sovrano, al fine di evitare (ai governi stess)i di rendere efficienti i loro sistemi economici.
    Ancora oggi i governi non lo vogliono fare, ma saranno penalizati dalla crisi di fiducia che investe loro e anche le strutture finanziarie dei rispettivi sistemi economici e, conseguentemente le loro economie reali.

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    • Maurizio Sgroi

      Salve,
      non ho mai detto che siano i derivati il problema.
      mi sono limitato a illustrare il brodo di coltura nel quale sono cresciuti e la logica che li ha espressi.
      forse, ho concluso, il problema non sono i derivati ma l’idea di fare soldi con i soldi.
      non mi pare che nel suo lungo commento proponga una risposta.
      grazie comunque

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  3. legione del sole

    Buongiorno a voi, mi inserisco con breve riflessione.
    Luciano dice che ” l’attuale crisi è crisi di fiducia, che però trascina nel baratro l’economia reale”. Diciamo poco???!!!
    La finanza, o meglio il lavoro delle banche mi sembra sia nato proprio da atti di fiducia, mi custodisci 10 e presti per 100: il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Gesù ha fatto scuola, ma almeno lui concretizzava e riempiva le pance altrui.
    Meccanismo delicato la fiducia, che pare poco adatto a sostenere il meccanismo ed il peso di una finanza mondiale, priva di etica e di sani valori. Non puoi avere fiducia in qualcuno che sai già che ti tradisce in partenza. E le banche sono traditrici quanto incantatrici, a tal punto che si è perfino generato un mondo virtuale relativo alla finanza, che dovrebbe trattare temi concreti: un’equa e meritevole ripartizione del benessere sociale..
    Buone cose,
    Cyrus

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  4. Ermanno Tarozzi

    i derivati fanno parte da trent’anni dell’architettura finanziaria globale e sono stati la causa principale della creazione di una nuova tecnologia di pagamento: il credito infragiornaliero (intraday), che ha rivoluzionato il sistema internazionale dei pagamenti

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