L’Italia (im)possibile: Il matrimonio fra ricchezza privata e debito pubblico

Sarà colpa del caldo che ormai m’affligge, o forse del mio lungo peregrinare nei guai dell’Italia, che mi ruba ore di sonno e mi provoca gastriti. Comunque sia mi accorgo, a un certo punto, che sono stanco.

Sono stanco del continuo girarci intorno. Dall’arrabbattarmi con statistiche mezze farlocche e grafici bugiardi che alla fin fine raccontano tutti la stessa cosa: che abbiamo l’aritmetica politica contro.

Questo lo dice la logica e anche una conoscenza approssimativa dell’essoterismo economico, come quella di cui dispongo io. E se mi piace pensare (sperare) che tutto andrà bene è solo perché sono cresciuto a pane e film americani, dove – fateci caso – c’è sempre un momento in cui qualcuno dice a qualcun altro che andrà tutto bene.

Ma se guardate la fredda guerra che stiamo combattendo col metro asciutto del banchiere – leggetevi (tutta però) l’ultima relazione di Bankitalia per averne contezza – l’unica cosa che rimane è uno sconforto amaro.

Possiamo pure credere, sull’onda dell’entusiasmo, che il nuovo che avanza in politica guarirà con tocco taumaturgico le nostre piaghe, trentennali a dir poco. Ma dovremmo aver imparato che tanto alla fine ci presenteranno il conto e che tutti, chi più chi meno, saremo chiamati a pagarlo.

A chiunque ne dubiti, ricordo solo che siamo stretti nella morsa degli opposti automatismi, per cui se curiamo il settore interno sbilanciamo l’estero, e se curiamo l’estero affamiamo l’interno. Il tutto con la camicia di forza dell’euro e un debito pubblico (e vi faccio grazia di quello privato) che ci costringerà ad avere avanzi primari nell’ordine del 5% del Pil, perché oltre a quella dell’euro abbiamo anche la camicia di forza dei vari fiscal compact.

In questa situazione siamo di fronte a un’alternativa: rassegnarci o ribellarci.

E mi accorgo, forse perché sono stanco, che non mi piace nessuna delle due.

Sono troppo giovane per rassegnarmi e troppo vecchio per ribellarmi.

Immerso come sono in questo dilemma, diciamo generazionale, mi ricordo dell’insegnamento greco, che spingeva a rifiutare i dilemmi, comunque cornuti.

Sicché decido di sparigliare. Sposto il punto di vista.

E così facendo mi accorgo che bisogna porsi problemi impossibili per provare a immaginare soluzioni possibili.

La trita realtà, che possiamo raccontarci in tanti modi ma tanto non cambia, avendomi stancato, mi costringe perciò a iniziare un altro viaggio. Stavolta però ai suoi confini.

Ai confini della realtà, perciò. Come nella gloriosa serie di telefilm degli anni ’60, dove stavolta però è la (pseudo)scienza economica a diventare fantascienza.

Qui, in questa zona inesplorata, l’impossibile diventa possibile. In questo luogo, forse, si può celebrare il nuovo matrimonio che, ne sono ragionevolmente convinto, potrebbe rimetterci i piedi. Ossia quello fra ricchezza privata e debito pubblico: la controstoria futura della nostra storia passata.

E mi scuso già da ora per i miei limiti, non essendo io né economista né esperto di alcunché, ma solo modesto narratore di vicende socieconomiche e quindi incapace per insipienza a dar risposte concrete e a condirle con numeri e previsioni.

Conto perciò sul contributo di voi che siete più bravi di me, per capire innanzitutto se le mie fantasticherie hanno un senso e, se del caso, a tradurle in qualcosa che sia spendibile in un serio dibattito pubblico.

Diversamente sarà stato solo tempo trascorso insieme, spero con vicendevole soddisfazione. Che di questi tempi in cui nessuno si cura più di nessuno, sarebbe già un ragguardevole risultato.

Nel mio viaggio ai confini della realtà, mi accorgo che i vecchi strumenti non bastano e che ne servono di nuovi. Ma altresì che, come ogni matrimonio che si rispetti, quello fra ricchezza privata e debito pubblico deve basarsi sul sentimento, prima ancora che sull’interesse, essendo quest’ultimo, tuttavia, ospite scomodo ma impossibile da non invitare alla celebrazione che inizio a figurarmi. Siamo abituati a far di conto, purtroppo. E già mi immagino il ragioniere tal dei tali, o il dottor plurimasterizzato a considerare tassi attivi e passivi, vantaggi e svantaggi intrisi di numerarietà, mentre credo che dovrebbe ognuno esser disposto a perderci qualcosa purché ci si guadagni tutti.

Ma so bene che l’idealismo non nutre lo spirito animale del nostro tempo, e perciò vado oltre. Serve un incentivo.

Perché mai un cittadino, o un’impresa, dovrebbe accettare di comprare debito pubblico italiano oggi? O, per dirla in altri termini, perché dovrebbe accettare il matrimonio fra la sua ricchezza e il nostro debito?

La risposta più facile è: l’interesse. Quindi il rendimento del suo investimento, come insegnano i manuali, che ignorano richiami più ancestrali come il patriottismo o l’amore del bene comune.

E interesse sia, allora.

Ma l’interesse coincide necessariamente col tasso omonimo, o ce ne puo essere un altro?

Certo che ci può essere. L’interesse può anche essere quello di avere, anziché un incasso monetario tassato al 26%, uno sgravio fiscale che abbassi l’imposta personale sul reddito.

Compro titoli di stato per pagare meno tasse sul reddito.

Uso lo stock di ricchezza per migliorare il flusso di reddito. E in questo modo rilancio i consumi e gli investimenti senza appesantire il deficit fiscale. Se poi la studiassi bene potrei persino trovare un escamotage per ricomprarmi un pezzo di debito estero, che ormai quota il 27% del totale dello stock di obbligazioni pubbliche, al netto delle quote detenute da autorità monetarie o da fondi di investimenti esteri che gestiscono risorse di residenti.

Perché no, mi dico: io un pensierino ce lo farei. E sinceramente non vedo altre vie d’uscita alla nostra situazione. Dopo il divorzio fra  debito pubblico e ricchezza privata, un nuovo matrimonio, stavolta fra ricchezza privata e debito pubblico, mi sembra non soltanto giusto, ma inevitabile.

Ma non deve essere vessatorio. Nessuno si sposa sotto costrizione. Tutti coloro che discutono di patrimoniale dovrebbero ricordarselo.

Un matrimonio su basa su fiducia e rispetto, oltre che su patti chiari, se vuole trasformarsi in un una lunga amicizia.

Mi accorgo allora che serve uno strumento nuovo.

Più che il fiscal compact, serve un fiscal bond.

Io però non sono in grado di costruire questo strumento, né di accordarlo per fargli suonare una musica suadente.

Qualcuno è interessato a farlo? O magari ha idee migliori? Sono più che felice di ascoltarlo e ospitarlo qui, per quel poco che vale questo blog.

Ricordate però: non serve la (pseudo)scienza economica: occorre fanta-scienza.

La fantasia al potere, dicevano una volta.

(1/segue, sempre se qualcuno mi aiuta)

Un Commento

  1. Jean-Charles

    Qui in Svizzera se se compro obbligazioni italiane per esempio, l’istituto bancario che me le vende preleva un’imposta alla fonte sul guadagno e la versa alle autorità fiscali svizzere in blocco – garantendo l’anonimato dei singoli detentori – .

    Rilascia a ciascuno dei acquisitori un documento che attesta della detrazione fiscale effettuata da essa alla fonte che può essere utilizzata per detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi, nel caso il capitale così investito sia dichiarato.

    Le autorità fiscali italiane possono decidere di accordare un sgravio fiscale deducibile sul reddito nel caso il capitale fosse dichiarato se no no, per obbligazioni a 30 anni e tassi d’interessi indicizzati sull’inflazione per esempio.

    Se lo letto bene la ricchezza finanziaria netta é di circa 3000 miliardi. 15% di 3000 miliardi corrispondono più o meno al debito pubblico estero del 27% su circa 1800 miliardi di obbligazioni pubbliche.

    Mi permetto d’andare oltre.

    L’art. 123 del trattato di Lisbona impedisce alla BCE di comperare direttamente debito pubblico e per di più presta alla banche private a tassi quasi a zero che esse investono in debito pubblico.

    Pagano gli Italiani 85 miliardi d’interesse annui che vanno a finire proprio nelle banche private.

    Una parte dei guadagni delle banche servirà al finanziamento privato dei partiti. Certi cercano proprio di abolire il finanziamento pubblico.

    Verrà eletto chi ne riceverà di più proprio da chi dispone di più mezzi. Chi li avrà veramente eletti?

    Alla visione destra-sinistra bisogna aggiungere quella di apice-base ( del triangolo di potere).

    Detenere debito è detenere il potere. Non bisogna lasciarne più di tanto a quelle che ne dispongono di già!

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      detenere debito è detenere il potere: una giusta osservazione secondo me.
      detenere debito è detenere anche il potere di farne qualcosa di buono: una giusta ambizione, sempre secondo me.
      Gli italiani dalle alle loro banche oltre 1.000 miliardi dei loro soldi solo in depositi. E le banche ci comprano debito pubblico al posto della Bce, ma con i soldi della bce e a tassi infimi. questo lo schema. Se gli italiani celebrassero il loro matrimonio col loro debito pubblico di sicuro le banche ne patirebbero, ma lo stato no.
      Ma questo è solo un modo parziale di vedere la cosa. ci sono mille sfaccettature da analizzare, perciò ho chiesto a tutti i cortesi lettori di darmi una mano.
      Il prossimo post sul tema, se mai uscirà, deve essere frutto di un pensiero comune.
      grazie per i suoi sempre graditi interventi

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  2. Jean-Charles

    Condivido con Lei che il denaro vale per il bene d’insieme che se ne fà. È proprio ill bene d’insieme ci deve far muovere.

    I Francesi pagano circa 50 miliardi sul loro debito che è circa di 10% in volume inferiore al nostro. Secondo Eurostat al 31.12.2013, quello francese a 1925.3 miliardi e l’italiano a 2069.2.

    Con un tasso medio come quello francese dovremmo pagare
    50/1925.3×2069.2= circa 55 miliardi.

    Sono pagati circa 85, ossia 30 in più ogni anno. 500 € a testa per ognuno dei 60 milioni d’ abitanti ! ( La lascio contare per la sua famiglia numerosa)

    Bisogna abbassare il tasso con emissioni a lungo termini e vantaggi fiscali sul reddito o, perché no, come risanamento della ricchezza sommersa.

    Basta persuadere un piccolo partito a lanciare un’iniziativa che proponga agli Italiani misure mirate alla diminuzione – del costo – del debito pubblico.

    Tutte tasse in meno che altrimenti finiscono, tramite il costo elevato del debito pubblico nelle banche private.

    È più facile diminuire i tassi che diminuire il volume del debito.

    Chissà perché si parla sempre del volume e non degli interessi….

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      non ho aderenze partitiche, né piccole né grandi. sono solo un narratore, e neanche troppo qualificato. questo blog è un piccolo esperimento, che ha finito col produrre anche qualche idea, magari sbagliata. però sono d’accordo con lei sul fatto che si parla troppo di debito e troppo poco di interessi sul debito.
      forse è disattenzione. forse è una questione di grandezze assolute più o meno seducenti. rimane il fatto che sarebbe nostro interessi parlare di tali interessi.
      ma non lo facciamo.
      saluti cordiali

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  3. Jean-Charles

    La incoraggio a continuare a narrare a noi le sue riflessioni. A mè piacciono.

    Non è facile andare oltre verso l’azione.

    Chissà che vengano fuori persone disposte, come me, a mettere insieme le loro energie per agire d’insieme intelligentemente.

    Lei, del suo, ha già dato molto.
    Coraggio.

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    • Maurizio Sgroi

      il coraggio (più che altro l’incoscienza) grazie a dio non mi manca.
      è il tempo che scarseggia e un poco anche le forze.
      fortuna che fra un mesetto il blog va in vacanza 🙂
      la ringrazio per l’attenzione e per l’apprezzamento

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  4. jackthefelix73

    Concordo sulle sue analisi. Purtroppo non vedo all’orizzonte soluzioni di questo tipo, vedo piuttosto un travaso continuo in termini di nuove o più massicce imposizioni fiscali che vadano a coprire temporaneamente quel pozzo senza fondo che è il nostro debito pubblico. Che se fosse più in mano nostra (penso a quello del Giappone) effettivamente ci permetterebbe anche a livello politico di muoverci se non con maggior autonomia, per lo meno con maggiori spazi di manovra a livello europeo. Più che un matrimonio, mi pare di vedere coniugi separati in cui uno dei due paga alimenti sempre più salati per l’altro incontentabile. A proposito, vedo sempre più probabile all’orizzonte una patrimoniale che quella famosa ricchezza privata la farà calare e non di poco. Anche se nessuno ha la sfera di cristallo e capire cosa passi effettivamente nella testa dei nostri politici è compito assai arduo

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      la penso come lei, ma solo perché io e lei condividiamo la stessa disperata rassegnazione. ma questo non è un buon motivo per impedire alla nostra immaginazione di creare nuove possibilità. sono convinto che tutto può succedere e che ogni cosa può diventare reale solo dopo esser stata pensata. questo post voleva solo essere un contributo in tal senso, pure se con tutti i limiti dell’autore e del contenitore.
      Se smettiamo di immaginare il prezzo sarà molto più salato di una semplice patrimoniale 🙂
      grazie per il commento

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  5. Sergio

    Capito qui per caso e con molta indiscrezione porterei un mio contributo.
    Come leggo in altro suo post … idee impossibili per soluzioni possibili.
    Avete mai provato a approfondire l’essenza vera della moneta moderna? Io si, grazie alla MMT.
    Secondo questa teoria (ma capirete che non é teoria né fantasia) la moneta é una creatura dello Stato che la emette (per un attimo dimenticate euro e BCE, come se non li avessero inventati).
    Lo Stato emette la moneta e la spende. Solo dopo tassa. E non lo fa per finanziarsi ma per dare corso legale alla sua moneta.
    Uno Stato che crea la Sua moneta non ha bisogno di vendere debito pubblico per acquisire moneta. Invero non ha neppure bisogno delle tasse se le intendente come strumento per finanziare la sua spesa.
    Quello Stato non deve preoccuparsi di chi “detiene” il suo debito perché potrà sempre pagarlo, se il detentore ne chiederà il pagamento, con altro debito o con altra moneta. Né deve preoccuparsi dell’ammontare di tale debito. Potrà sempre ripagarlo.
    Così faceva, certo in modo incosciente (=non pienamente cosciente), il nostro Stato con la sua bella lira.
    Andiamo oltre. Nel vostro panorama, oltre al settore privato ed a quello estero (che si sbranano a vicenda), manca un attore indispensabile. Il settore governativo inteso come emettitore di moneta fiat.
    La sua assenza é la causa del protrarsi della attuale crisi.
    Chiarisco. Innanzitutto moneta fiat ovvero creata per atto di volontà (ricordate lux fiat …), senza generare debito, a cambio flessibile, non convertibile. Quindi uno strumento libero da vincoli.
    Per farne cosa ? Riequilibrare i fattori negativi dei periodi di crisi.
    Siamo in un periodo di crisi scatenato da uno shock finanziario che ha generato un calo della propensione alla spesa da parte di cittadini e imprese (i primi per i consumi e le seconde per gli investimenti).
    Minor domanda di consumi=calo della produzione=riduzione dell’occupazione=riduzione del reddito=riduzione dei consumi. Punto e a capo. Significa spirale deflativa.
    Soluzione: ripristinare la domanda. Come: spesa pubblica pagata con moneta fiat, quanto basta per ricostruire la ricchezza distrutta dalla crisi e riportare al propensione alla spesa a livelli accettabili. Poi basta. L’economia fa da se.
    Perdonatemi, sono stato troppo stringato per mancanza di tempo, ma vi prego, non liquidate questi concetti, vi arricchirete approfondendoli.
    http://Www.memmt.info

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      ogni contributo è sempre bene accetto, purché sia rispettoso e sincero. quindi il suo è molto ben accetto.
      Nel merito, non essendo un economista, non riesco a valutare col dovuto discernimento la qualità della teoria che mi ha così gentilmente illustrato, essendo peraltro per mestiere costretto a misurarmi con la pratica. in quanto giornalista socieconomico, infatti ho più dimestichezza con le storie e i fatti. le teorie per me appartengono al meraviglioso mondo dell’astratto che suscita come è comprensibile attrazioni o repulsioni, ma sostanzialmente rimane confinato nell’alveo degli specialisti e degli appassionati.
      Per dirgliela in altre parole, magari la teoria che lei illustra sarà vera, come dicevano i vecchi scienziati, ma non è reale, come dimostra la cronaca. i fatti con i quali dobbiamo (e dovremo) confrontarci sono la Bce e l’euro, e fossero solo questi: abbiamo la fed e il dollaro. quindi discorrere di teorie, magari affascinanti, quando la pratica è siffatta mi appassiona poco.
      Mi fa piacere, tuttavia, che appassioni lei. ogni passione, come diceva balzac, ha la sua intelligenza. e l’intelligenza è un dono che non è mai saggio sottovalutare.
      grazie per il commento

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