Tesoretto da 30 miliardi per l’Italia grazie al QE

Se i risparmiatori italiani piangono a causa del QE, il governo almeno ride. I tassi rasoterra, infatti, hanno consentito un calo rilevante della spesa per interessi che Bankitalia, nella sua ultima relazione annuale, riferendosi al triennio 2013-15 stima in circa 30 miliardi di euro. La qualcosa per un paese come il nostro che paga decine di miliardi di euro per servire il proprio debito pubblico è sicuramente una buona notizia.

Si potrebbe discutere, semmai, su come il governo abbia utilizzato questa imprevista congiuntura positiva, e per farlo dobbiamo osservare come la nostra finanza pubblica si sia evoluta negli ultimi tre anni.

Cominciamo dai dati 2015. L’anno scorso l’indebitamento netto, ossia il deficit, è diminuito dello 0,4% del Pil, portandosi al 2,6. Questa diminuzione corrisponde proprio al calo registrato sulla spesa per interessi, passata dal 4,6% del Pil del 2014 al 4,2, mentre l’avanzo primario è rimasto stabile all’1,6%. Ricordo che l’avanzo primario misura il saldo fra entrate e spese al netto della spesa per gli interessi. Ciò in pratica vuol dire che è rimasto stabile il rapporto fra entrate e spese, che detta così spiega poco.

Bisogna quindi guardare i dati disaggregati, magari allungando gli sguardi sul triennio. Due grafici ci raccontano l’evoluzione degli indicatori principali della nostra finanza pubblica a partire dal 1999. Quindi deficit, avanzo primario e debito. Se li osservate noterete che negli ultimi tre anni la curva del deficit è piatta con tendenza alla crescita, quella dell’avanzo primario tende a diminuire, mentre quella del debito si è appiattita di recente dopo una ripida impennata dopo il 2008.

Per comprendere meglio cosa ci sia dietro questa evoluzione, bisogna però guardare il conto consolidato delle amministrazioni pubbliche che Bankitalia presenta a far data dal 2010. La prima cosa che salta all’occhio è che le entrate correnti sul Pil sono aumentate di oltre due punti a fronte di un rapporto spesa/pil sostanzialmente stabile. Si potrebbe pensare che il governo ha speso di meno, e in effetti è così. Ma questo risparmio finisce col coincidere con la minore spesa per interessi, che nel 2012, momento di picco della crisi dei debiti sovrani, aveva superato gli 83 miliardi, mentre nel 2015 è arrivata a 68,4, poco sotto il livello del 2010. “In un contesto in cui l’attività economica è risultata ancora molto al di sotto del potenziale, la politica di bilancio ha avuto un orientamento moderatamente espansivo”, spiega Bankitalia. E certo questo orientamento deve molto al calo della spesa per interessi: non avremmo potuto permettercelo se il QE non avesse svolto i suoi effetti.

Questa politica “moderatamente espansiva” si è giovata delle numerose interlocuzioni che il governo ha avuto con Bruxelles per aumentare i propri margini di flessibilità e che si sono tradotte in alcune misure fiscali e strutturali (jobs act, riforma della scuola). Risorse pari allo 0,1% del Pil, quindi circa 1,5 miliardi, sono state utilizzate per pagare il conto delle pensioni arretrate dopo la sentenza della Corte Costituzionali che ha giudicato illegittima la sospensione dell’indicizzazione decisa fra il 2012-13.

Tutto ciò ha provocato alcuni scostamenti dei consuntivi rispetto ai budget. “Nonostante la crescita economica sia stata lievemente migliore di quanto atteso, l’avanzo primario è stato inferiore all’obiettivo di 0,3 punti percentuali”, spiega Bankitalia e anche qui ci ha messo una toppa il calo degli interessi “risultato maggiore del previsto”.

Sul fronte delle entrate è utile segnalare che la pressione fiscale è rimasta stabile al 43,5%, ma considerando i crediti di imposta che il governo ha riconosciuto ai lavoratori dipendenti con redditi medio bassi, tale percentuale risulta più bassa dello 0,2% rispetto al 2014. In compenso sono aumentati i contributi sociali del 2%, arrivando a 218 miliardi, mentre sul versante locale nonostante l’inasprimento delle aliquote, il calo dell’Irap ha finito col provocare una diminuzione complessiva del 2,1%. Lato imposte indirette, si è registrato un gettito robusto dell’Iva, oltre 100 miliardi, e una crescita del gettito derivante dalla tassazione sugli immobili, cresciuto dell’1,1% a 24,5 miliardi. Complessivamente, rileva Bankitalia, “in Italia la pressione fiscale rimane elevata: il divario rispetto alla media degli altri paesi dell’area dell’euro,
sebbene diminuito di un punto nell’ultimo triennio, nel 2015 è risultato pari a 2,4
punti percentuali”, che diventa l’1,6 se si considerano i crediti d’imposta. Insomma: le tasse sono diminuite, ma non così tanto e, soprattutto, non per tutti.

Lato spese, a parte una certa stabilità con tendenza al calo contenuto, si segnala l’ulteriore crescita della spesa per prestazioni sociali i denaro, aumentata dello 0,8% nel 2015, dopo esser cresciuta dello 0,4% l’anno precedente. Questa spesa, che per il 90% è rappresentata da pensioni, “riflette soprattutto un importo medio delle nuove pensioni maggiore di quello delle pensioni cessate nell’anno, nonché l’indicizzazione dei trattamenti al costo della vita”. Al contrario delle pensioni, “i redditi da lavoro dipendente sono diminuiti per il quinto anno consecutivo. Al calo (-1,1 per cento) hanno contribuito in misura sostanzialmente analoga la riduzione del numero degli occupati – principalmente per effetto delle misure che hanno contenuto il turnover dei dipendenti – e la diminuzione delle retribuzioni medie, sia per il prolungarsi del blocco della contrattazione sia per l’effetto di composizione (gli stipendi dei nuovi assunti sono in media minori di quelli dei dipendenti che lasciano il lavoro)”. In crescita anche i consumi intermedi e le prestazioni sociali in natura, a 133 miliardi. Considerate che il 90% delle prestazioni in natura e un terzo dei consumi intermedi riguardano la spesa sanitaria, cresciuta dell’1% rimanendo invariata rispetto al Pil, al 6,9%. Insomma: pensioni e sanità si confermano essere il buco nero del bilancio dello stato e soprattutto inarrestabili nella loro crescita di costi.

Tutto ciò ci aiuta a capire meglio dove siano finiti gli ingenti risparmi sugli interessi sul debito, che solo nel 2015  sono stati inferiori del 7,9% rispetto all’anno precedente. “Rispetto al livello raggiunto nel 2012 (5,2 per cento del PIL), nell’ultimo triennio
l’incidenza della spesa per interessi sul prodotto è diminuita di un punto percentuale,
determinando un risparmio di spesa cumulato pari a circa 30 miliardi”, sottolinea Bankitalia. Se poi si confrontano i risparmi con quelli che il governo pensava di ottenere nel Def 2012, si arriva addirittura a 50 miliardi in meno. E poiché il governo col DEF fissa la sua politica economica, possiamo dirci fortunati che l’errore, una volta tanto, sia a nostro favore. “L’inattesa riduzione della spesa per interessi nel triennio 2013-15 – conclude – ha in parte compensato la riduzione del gettito fiscale dovuta al quadro congiunturale peggiore del previsto e agli sgravi fiscali decisi nell’arco del triennio”.

Insomma, se stiamo ancora in piedi lo dobbiamo alla Bce, visto che il governo ha “moderatamente” largheggiato. E poiché i tassi rimarranno bassi a lungo, secondo almeno quanto dichiarato anche di recente dai banchieri di Francoforte, ciò dovrebbe rassicurarci. Anche perché l’ipotesi contraria, ossia che i tassi salgano, visti i presupposti della nostra finanza pubblica, è tutto fuorché rassicurante.

 

Un Commento

  1. vincesko

    Citazione: ” Insomma: pensioni e sanità si confermano essere il buco nero del bilancio dello stato e soprattutto inarrestabili nella loro crescita di costi”.

    Non so per la sanità, ma per le pensioni l’allarme, per il medio-lungo periodo, è del tutto ingiustificato. Il sistema pensionistico italiano, dopo le 8 riforme dal 1992, è tra i più severi e sostenibili nel lungo periodo.

    […] Terzo punto: Confronto internazionale

    E’ fuorviante riferirsi ai dati pensionistici fino al 2013: sono vecchi e superati. Come spiegava la prof.ssa Fornero a “In ½ ora”, le riforme delle pensioni per loro natura producono i loro effetti nel lungo periodo. Dopo le 8 riforme varate dal 1992, come ha confermato l’ultimo rapporto della Commissione Europea, con la proiezione al 2060,[9] il sistema pensionistico italiano è tra i più severi e sostenibili nel lungo periodo. Come attesta l’ultimo Osservatorio dell’INPS sulle pensioni,[5]il numero di pensioni sta già calando (“Dall’analisi dell’osservatorio delle pensioni Inps vigenti all’1.1.2015 e liquidate nel 2014 emerge la conferma del trend decrescente degli ultimi anni, che vede passare le prestazioni erogate ad inizio anno da 18.363.760 nel 2012 a 18.044.221 nel 2015; una decrescita media annua dello 0,6% frenata dall’andamento inverso delle prestazioni assistenziali (pensioni agli invalidi civili e pensioni/assegni sociali), che nello stesso periodo passano da 3.560.179 nel 2012 a 3.731.626 nel 2015”), ma la spesa pensionistica cresce perché i nuovi assegni pensionistici sono più alti. Secondo il rapporto UE, ci sarà una piccola gobba nel 2036, poi la spesa pensionistica (incluse le voci spurie) calerà al 13,8% del Pil nel 2060, uno dei cali più alti in UE28.

    La spesa pensionistica italiana, infatti, include (nel confronto internazionale) delle voci spurie (si confrontano le pere con le mele), che sono:
    1. TFR, che è salario differito e può essere riscosso anche decenni prima del pensionamento[10] (circa 1,5% del Pil);
    2. un 8% di spesa assistenziale sul totale della spesa pensionistica;[11]
    3. un peso fiscale comparativamente maggiore (la spesa pensionistica italiana è al lordo di 42-45 mld di imposte, più vicino ai 45);
    4. un uso prolungato, a causa dell’assenza di adeguati ammortizzatori sociali (usati negli altri Paesi, dove non vengono classificati spesa pensionistica), delle pensioni di anzianità appunto come ammortizzatore sociale;
    5. infine, nella spesa pensionistica degli altri Paesi andrebbero sommati gli incentivi fiscali ( = minori entrate) alle pensioni integrative (v., in particolare, la Gran Bretagna).

    a) Se si considera la spesa pensionistica al netto delle imposte[12] (che sono una partita di giro), il divario tra l’Italia e gli altri Paesi cala di almeno mezzo punto se non di uno intero; infatti, a fronte di una diminuzione di circa 2 punti percentuali dell’Italia (dal 15,44% al 13,49%, dati 2009), gli altri Paesi calano in media sotto il punto percentuale (ad esempio, la Francia dal 13,73% al 12,82%, la Germania dal 11,25% al 10,86%, il Giappone dal 10,17% al 9,50% e la Spagna dal 9,28% all’8,99%).
    b) Inoltre, se si depura la spesa pensionistica dalle prime due voci spurie (TFR e spesa assistenziale, che assommano a quasi 45 mld, cioè a quasi il 3% del Pil), e si somma la terza voce (altri 45 mld: le tasse sono una partita di giro, l’INPS paga l’assegno pensionistico netto e gira il resto all’Erario, alle Regioni e agli Enti locali), per un ammontare totale di 90 mld, l’incidenza sul Pil scende di ben oltre 4 punti percentuali.
    In totale, dunque, se questi miei calcoli sono corretti, il rapporto diminuisce – già ora – dal 16,8% ad un massimo del 12,5%, vale a dire già adesso è inferiore di oltre un punto al 13,8% stimato dalla Commissione Europea per il 2060.
    c) Infine – ed è soltanto un di più esplicativo – andrebbe anche tenuto presente che il rapporto spesa/Pil è influenzato ovviamente anche dal denominatore, calato in Italia, negli ultimi 7 anni, di quasi 10 punti percentuali, molto più che in altri Paesi. […]
    “Lettera ai media, al Governo, al PD e ai sindacati: le pensioni e Carlo Cottarelli”
    http :// vincesko. ilcannocchiale. it/post/2833739. html
    oppure (se in avaria)
    http :// vincesko. blogspot.com/2015/06/ lettera-ai-media-al-governo-al-pd-e-ai.html

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    • Maurizio Sgroi

      Salve,
      Il tema della previdenza che si rivolge al futuro e quindi è per sua natura incerto tende a basare le sue certezze sulle sabbie mobili delle previsioni. Io ho riportato il giudizio di bkitalia che vede in crescita la spesa per le pensioni a consuntivo 2015. Cosa ci riservi il futuro non possiamo saperlo e anche se il suo ragionamento mi pare sensato purtroppo sconta lo stesso limite.
      La ringrazio per il commento, i dati e i link

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      • vincesko

        Salve, Debbo premettere che: a) io, da completo ignorante in materia, sono diventato – pare – uno dei massimi esperti di spesa pensionistica (non di pensioni, di spesa pensionistica), facendo semplicemente 2+2; e b) qui ne abbiamo già discusso in passato (v. https://thewalkingdebt.org/2015/04/17/la-lotteria-delle-pensioni-il-boom-infinito-dei-60/).
        1. Sono ovviamente d’accordo per le previsioni, soprattutto per quelle a lungo termine, ma qui il discorso è un po’ diverso, l’errore riguarda il consuntivo.
        2. Con tutto il rispetto, anche Bankitalia fa presumibilmente lo stesso errore che fanno tutti i sedicenti esperti (vedi, ad esempio, Cottarelli): prende i numeri, ma non li analizza bene, sceverando il grano dal loglio.
        3. In effetti, nell’esaminare la spesa pensionistica occorre chiedersi preliminarmente se gli importi, da chiunque elaborati, su cui si basano i giudizi a) distinguono tra Previdenza e Assistenza? E b) Sono al lordo o al netto delle imposte?
        Perché, nel primo caso, la voce Assistenza è gestita dall’INPS ma è a carico della fiscalità generale (infatti viene ripianata ogni anno dallo Stato). Nel secondo caso, c’è una differenza sostanziale tra l’esborso “lordo” effettuato da un’azienda, che ovviamente va assunto come costo integralmente, e l’esborso “lordo” dell’INPS, la cui componente fiscale è una mera partita di giro, poiché l’INPS, che è parte integrante dello Stato, eroga gli assegni pensionistici “al netto” e gira la differenza allo Stato, alle Regioni e ai Comuni, pur contabilizzando il “lordo”. Basta prendere i Rapporti dell’INPS. Si dice ad esempio che la spesa pensionistica è di quasi 280 mld, ma si trascura il fatto che essa include voci spurie per 90 mld: 45 mld di imposte, che è una mera partita di giro, e 45 mld tra TFR e spesa assistenziale, che non c’entra nulla con la spesa pensionistica. E per dimostrare che 90 mld sono di voci spurie, basta prendere i Rapporti dell’INPS. L’INPS espone, ad esempio, nel suo Osservatorio sulle pensioni 2014 l’importo “in pagamento”, che presumo sia il netto o non so che, che è molto distante dal totale della spesa pensionistica che va nel calcolo del rapporto col Pil e che è di quasi 280 mld: “L’importo complessivo annuo risulta pari a 192,6 miliardi di euro, di cui 173 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali. Il 66% dell’importo è erogato dalle gestioni lavoratori dipendenti, il 23,8% da quelle dei lavoratori autonomi, il 10,1% da quelle assistenziali“.

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  2. vincesko

    Questo articolo meriterebbe, quale giustapposizione, un altro articolo, con il seguente titolo: “QE, il rovescio della medaglia”, il seguente occhiello: “Il QE fa parte delle misure di una banca centrale degna di questo nome”, il seguente catenaccio: “La BCE ha varato il QE con ben 6 (sei) anni di ritardo rispetto alla FED e alla BoE, con gravi conseguenze per gli Stati (tranne uno) e i popoli (tranne uno) dell’Eurozona”, ed il seguente svolgimento:
    Replica alla risposta della BCE alla petizione sulla BCE
    http :// vincesko.ilcannocchiale. it/post/2845674.html oppure (se in avaria)
    http :// vincesko.blogspot. com/2016/04/replica-alla-risposta-della-bce-alla.html

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    • Maurizio Sgroi

      Salve,
      Sul QE si può pensarla in tanti modi. Forse lei ha ragione o forse no. Ma comunque la su veda mi permetto di ricordarle che c’è sempre un rovescio della medaglia. Sui rischi degli allentamenti monetari si è scritto parecchio anche da parte degli stessi banchieri centrali. Gli stessi che ne hanno assicurato la necessità. Tutto ciò per dire che non pretendo di sapere dove ci porteranno queste politiche, ma che sono in ottima compagnia.
      Grazie per il commento e per i link

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