Svuotare il mare (del debito) col secchiello (dell’avanzo primario)


I conti nazionali italiani relativi al 2012 diffusi dall’Istat ieri mostrano con chiarezza una verità molto semplice: pensare di abbattere il nostro debito pubblico con l’accumulo di un avanzo primario è come pensare di svuotare il mare col secchiello.

Se i nostri governanti fossero onesti dovrebbero ammetterlo invece di propinarci la solita storiella.

I dati Istat, poi, ci dicono un’altra cosa. Anzi: la fotografano.

Le curve che misurano l’andamento del Pil, la quota di profitto delle società non finanziarie e l’andamento del risparmio nazionale sono in calo dal 2000. Quest’ultimo è ai suoi minimi da 22 anni, ed è crollato dal 14% del 2000 a poco più dell’8%.

Il calo generale si è aggravato dal 2010, quando invece la curva dell’avanzo primario ha iniziato a salire. E malgrado tale risalita, il debito è aumentato.

Quindi il nostro secchiello è pure bucato.

E’ utile fare un approfondimento, visto che dell’avanzo primario tutti sentono parlare ma pochi sanno cos’è. O magari sanno cos’è ma non hanno analizzato il suo significato.

Nella contabilità nazionale, il saldo primario (avanzo se positivo, deficit se negativo) equivale alla differenza fra le entrate dello stato e le spese, al netto degli interessi pagati sul debito pubblico.

Questo non vuol dire tali interessi non debbano essere pagati.

Al contrario. Tanto è vero che la spesa per gli interessi viene classificata fra le uscite correnti del bilancio dello Stato.

Il saldo primario, in pratica, costituisce un tesoretto che lo Stato raggranella e che viene utilizzato innanzitutto per pagare gli interessi sul debito, che, nel caso dell’Italia ormai veleggiano verso i 90 miliardi di euro l’anno.

Facciamo due conti della serva. Nel 2012 abbiamo avuto un avanzo primario del 2,5% del Pil, equivalente a 39,7 miliardi di euro. Siccome la montagna degli interessi è molto più elevata, ecco che abbiamo chiuso il 2012 con un deficit di bilancio complessivo del 3% del Pil (nei limiti europei, evviva), pari a circa 46,9 miliardi. Se sommiamo il deficit finale all’avanzo primario, abbiamo la somma totale degli interessi pagati sul debito, ovvero oltre 86,7 miliardi di euro.

Avere un buon avanzo primario, nel caso italiano, serve a pagare gli interessi sul debito, non ad abbattere il debito lordo, che infatti cresce senza sosta. Serve a rassicurare i nostri creditori, non a risolvere una situazione debitoria alla lunga insostenibile.

Infatti, nella definizione della contabilità nazionale, il saldo primario viene indicato come uguale all’indebitamento netto meno la spesa per interessi. Quindi tornando ai nostri conti della serva, l’indebitamento netto nel 2012 è stato, appunto, di 46,9 miliardi. Se a questo sottraiamo la spesa per interessi, gli altri 86,6, otteniamo il nostro bell’avanzo primario di 39,7.

Solo che questi soldi spariscono nel gorgo del servizio del debito. Quindi se li godono i possessori di titoli di stato in Italia e nel mondo.

E così il debito, nutrito dal deficit, non accenna a diminuire.

Se guardiamo i numeri assoluti, vediamo infatti che il debito nel 2010 è stato di 1.851 miliardi, 1.907 nel 2011 e 1.989 nel 2012.

Per far diminuire questa montagna, di conseguenza, è necessario che l’avanzo primario copra almeno interamente la spesa per interessi, in modo da non fare altro deficit che vada ad aumentare il debito complessivo. Meglio ancora se la supera: vuol dire che il debito si abbatte della cifra corrispondente.

Infatti nel Def del giugno scorso, il governo prevedeva di arrivare ad avere un avanzo primario di circa il 5,7% del Pil. Che detto in soldoni significa tirare fuori un avanzo primario pari a circa 90 miliardi di euro, ossia alla spesa presunta per gli interessi sul debito prevista entro l’arco di tempo del Def.

In questo modo si arriverebbe al pareggio di bilancio, ossia all’azzeramente dell’indebitamento netto, che peraltro è un obbligo votato dal Parlamento in omaggio ai vari fiscal compact, six pack, eccetera.

Se fermiamo l’analisi ai dati Istat del 2012, e senza considerare la variabile (molto incerta) della crescita, significa che la spesa pubblica italiana dovrebbe diminuire di quei famosi 46,9 miliardi. E se considerate la cagnara che si è scatenata in Italia (con finta crisi di governo inclusa) per evitare l’aumento dell’Iva, che vale un misero miliardo, avrete la chiara rappresentazione di quanto sia probabile che questo pareggio di bilancio lo raggiungeremo sul serio.

Questo che significa?

A parte che dobbiamo abituarci a convivere con un debito eterno, vuol dire che dobbiamo prepararci comunque a una robusta cura dimagrante. Anche perché il debito pubblico, aumentando, finisce anche con l’aumentare il nostro debito estero, che rende il nostro paese sempre più ostaggio dei mercati internazionali.

Chiaro che il governo redivivo abbia ricominciato a parlare di spending review.

Ma da dove dovrebbero arrivare i tanto auspicati risparmi sulla spesa pubblica?

Anche qui ci vengono in aiuto i valori aggregati forniti dall’Istat.

Agli odiatori professionisti della spesa pubblica farà piacere sapere che l’unica spesa pubblica cresciuta dal 2010 al 2012 è proprio quella per gli interessi sul debito, passata dai 70,8 miliardi del 2010 agli 86,6 del 2012. La spesa corrente al netto degli interessi, infatti, è aumentata di soli 6 miliardi, passando dai 660 del 2010 ai 667 del 2012. In pratica, a fronte di un aumento della spesa per interessi del 22% c’è stato un aumento della spesa corrente (senza interessi) dell’1%.

In compenso le entrate correnti (quindi tasse e altro) sono passate da 699 a 748 miliardi, quindi sono cresciute del 7%. Ecco da dove è venuto fuori il nostro avanzo primario.

E’ chiaro che, se la crescita non ripartirà a passo sostenuto, il governo non avrà altra scelta che aumentare ancora le entrate correnti, quindi le tasse, o tagliare severamente la spesa corrente al netto degli interessi, se vuole davvero raggiungere l’avanzo primario che si propone di raggiungere.

E allora che tagli, dicono i nostri odiatori professionisti.

Va bene: ma dove?

Le voci che pesano sono tre: la spesa per consumi finali, che nel 2012 ha pesato 314 miliardi (dentro ci sono 165 miliardi di costo del lavoro pubblico, 88 di consumi intermedi e 43 di prestazioni sociali acquistate sul mercato), le prestazioni sociali in denaro (quindi il welfare) che ci è costato 311 miliardi, e altre uscite correnti non meglio specificate che ci sono costate 40 miliardi.

Questa è la torta

Serviranno un bel po’ di avanzi per accumulare l’Avanzo.

Un Commento

  1. marco moschetta

    quindi anche i 28 mila forestali siciliani secondo questa analisi possono restare tranquilli dove sono.
    complimenti.

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      mi chiedo perché tutti se la prendano con i forestali. temo che tanto malanimo nasconda sempre una cattiva coscienza
      e comunque l’analisi tiene conto delle regole della contabilità nazionale, non del merito qualitativo della spesa. quello è un fatto politico, non macroeconomico. Bisognerebbe saper distinguere le cose, glielo dico con molta serenità e senza intento polemico.
      grazie per il commento

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  2. chiudiamoinarcassa

    L’articolo mi lascia di stucco, vista la sua preparazione nel caso del cuneo fiscale.
    Quando lei spende i soldi del suo stipendio, è improduttiva se in cambio non ottiene nulla, e non se chi prende i soldi li va a spendere in vacanza in Italia.
    Lo Stato deve fornire dei servizi, quindi quando spende, ottiene dei servizi per i suoi cittadini.
    Se voglio fare una strada, la spesa è produttiva se ottengo alla fine l’opera che volevo avere, e non se ho pagato l’impresa che non ha prodotto nulla.
    La spesa è quindi improduttiva se ottengo un servizio di poco valore per la cittadinanza.
    Paradossalmente, se lo Stato fosse super efficiente, la spesa pubblica potrebbe e dovrebbe essere più produttiva di quella fatta dal singolo cittadino individualmente, per ottenere lo stesso servizio.

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      le rispondo come ho risposto ad altre critiche simili. In un contesto di contabilità nazionale che prevede la domanda pubblica quale elemento costitutivo del reddito, la produttività della spesa pubblica coincide necessariamente con l’essere questa spesa produzione. Detto in altre parole, il reddito Y dipende anche da G, che piaccia o no. lo scopo del mio pezzo era raccontare con lo strumento della narrazione la realtà statistica con la quale ci dobbiamo confrontare.
      In particolare la formazione del Pil.
      Mi permetto di suggerirle, se ne ha voglia, la lettura della recente trilogia sul pil che trova sul blog che ho terminato venerdì scorso. spero serva a spiegare con più chiarezza ciò che voglio dire.
      poi si può discutere se sia corretto che i servizi che lei definisce improduttivi debbano o no essere inseriti nel computo del prodotto. ma questo richiede un cambiamento delle regole di contabilità che, glielo ricordo, sono fissate a livello internazionale.
      per farla breve, fra la sua percezione “etica” della spesa pubblica e quella “statistica” c’è una differenza sostanziale. comprendo che si possa facilmente confondere.
      La ringrazio per l’attenzione e il gentile commento

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      • chiudiamoinarcassa

        Aspetto una sua trilogia sulle pensioni dei giornalisti economisti. Quando mi dimostrerà che la sua categoria di pensionati non sta spolpando l’Italia, la riammetterò nella categoria dei commentatori economici.
        Forse la contabilità secondo la sua trilogia, distingue i percettori che spendono sul suolo italico da quelli esteri.
        Ma chi vi paga per raccontare queste cazzate?

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      • Maurizio Sgroi

        salve,
        non mi paga nessuno. quello che scrivo lo regalo e per vivere faccio un altro lavoro. ciò che scrivo, occupando il mio poco tempo libero, quindi, nel bene come nel male, è una mia precisa responsabilità. e poiché non sono portatore di alcuna verità non pretendo certo di essere nel giusto. gli errori, che di sicuro commetterò, sono sempre fatti in buona fede. quindi il suo commento acidulo è alquanto fuori luogo.
        non capisco invece a cosa si riferisca quando scrive che la contabilità distingue i percettori che spendono sul suolo italico da quelli esteri. la differenza fra pnl e pil, se questo è quello a cui si riferisce, è un dettaglio tecnico che non sposta il tema generale che ho provato a illustrare nella trilogia.
        se vuole spiegarsi meglio l’ascolterò volentieri.
        grazie per il commento

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  3. chiudiamoinarcassa

    Ritornando all’articolo, secondo la sua definizione, la spesa pubblica improduttiva è quella per gli interessi che vanno all’estero.
    Quindi gli interessi che restano in Italia e che servono per comperare altro debito pubblico, resta produttiva.
    Con la sua assurda teoria, lo Stato si può indebitare all’infinito con i suoi cittadini visto che gli stessi, con la spesa produttiva, lo ricompreranno all’infinito.

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      non ho alcuna teoria, non sono un economista, ma un semplice giornalista socioeconomico. mi sono limitato a seguire la logica.
      il suo paradosso, ovvero la reductio ad absurdum per lal quale lo stato può indebitarsi all’infinito con i suoi cittadini purché ricomprino il debito pubblico, somiglia molto a quanto accade in giappone e da un punto di vista logico, che è un piano diverso da quello macroeconomico e un piano ancora diverso rispetto a quello della contabilità economica, è perfettamente coerente.
      Il mio invito è a non confondere i piani.
      un’ultima notazione. la invito a farmi capire meglio cosa intende con l’aggettivo produttivo. se per produttivo si riferisce ciò che fa crescere il pil, che infatti sta per prodotto interno lordo, la spesa pubblica è produttiva eccome, tanto è vero che le retribuzioni dei dipendenti pubblici vi concorrono per definire il valore aggiunto dei servizi, concorrono a sostenere la domanda privata, e c’è sempre la solita G, ossia la domanda che proviene dall’ammibnistrazione di beni e servizi, lasciando da parte la quota di I di cui si fa carico lo stato. se invece produttivo ha un altro significato per lei, le sarei grato se me lo spiegasse, sennò come facciamo ad intenderci? ieri mi sono permesso di suggerirle di leggere la trilogia sul pil proprio perché discute di questo.
      Infine, una piccola questione di policy. mi piace pensare che chi ha voglia di discutere senza pregiudizi abbia sempre la buona volontà di non farsi trascinare dalle proprie convinzioni,confrontarsi e documentarsi. ma se lei è già sicuro di sapere tutto e vuole solo polemizzare, ha sbagliato blog.
      qui si discute, nessuno possiede la verità.
      grazie per il commento

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  4. chiudiamoinarcassa

    Il mio astio nasce da un semplice fatto. Mentre l’articolo che ha fatto sul cuneo fiscale previdenziale lo trovo assolutamente eccezionale (a parte una virgola sul finale), un articolo che segna uno spartiacque nel dibattito economico, non per quel che dice, ma per come lo dice (in quei giorni su wikipedia la voce cuneo fiscale è schizzata da poche centinaia di visite a 6000, a dimostrazione della sorpresa che ha creato), questo lo trovo privo di quello spessore che ha dimostrato altrove, perfino banale.
    E’ come se il mio idolo, al primo incontro che vado a vedere, fa un autogol.
    Vorrei che facesse tanti gol come nel primo caso in cui ho avuto modo di conoscerla.

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      non sono certo un fenomeno. né un goleador. tantomeno aspiro ad essere idolatrato. sono un semplice giornalista.
      ogni giorno cerco di imparare qualcosa e la socializzo, al netto degli inevitabili sbagli che posso commettere. certi pezzi vengono meglio, altri vengono peggio. ne ho scritto oltre 270 e non è che tutti possono piacere. già che a suo avviso uno sia eccezionale mi sembra un buon risultato.
      il pezzo che non le è piaciuto risale a più di un anno fa. ha avuto molti estimatori e alcuni critici. se lo rileggo oggi, non credo che lo farei tanto diverso. ma ho provato a dargli un seguito con la trilogia del pil. non so se l’ha letta, ma forse si farebbe un’idea più chiara del mio lavoro se lo facesse.
      detto in soldoni: legga qualche altro post, se crede. Se questo sulla spesa pubblica non le è piaciuto, lo dimentichi e basta.
      grazie per il commento

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  5. Marco

    Apprezzabile analisi tecnica che però si scontra con un muro psicologico e ideologico. Il cittadino medio non è preparato ad accettare l’idea che anche un sussidio possa generare un risultato positivo per l’economia del paese nel suo complesso perchè la visione economica dell’uomo comune parte da un approccio etico e anti-scientifico. L’idea è che quando l’amministrazione pubblica contravviene a principi etici – ad esempio finanziando forestali che ingiustamente guadagnano quanto un muratore (mettiamo) senza meritarselo – necessariamente poi le cose vanno male. Sempre.
    E curiosamente il problema etico viene posto sempre e solo riguardo all’intervento *attivo* del pubblico: si dà per buono che le “disparità” create dal libero mercato e non rimosse dall’intervento dello stato siano “naturali” e quindi “sane” e anche “giuste”. E’ a ben guardare una sorta di religione, di fede nella provvidenza divina, che non si limita ad assegnare le categorie di “giusto” e “sbagliato” in modo irrazionale, ma pretende anche di attribuire tutti i mali alla violazione di questo codice etico.

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      concordo pienamente con la sua analisi. nel mio piccolo con questo post ho cercato di separare i campi della tecnica da quelli dell’etica. qualcuno ha compreso, altri mi hanno criticato. ma rimane il fatto che si discute molto. e questo credo sia un fatto di per sé positivo.
      grazie per il commento

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  6. Marco

    Il problema che bisognerebbe estendere la responsabilità civile personale , ai dipendenti pubblici anche per negligenza o incapacità personale , dovuta dal fatto che non conoscono il mondo reale in quanto molti, tramite illeciti di vario tipo, (voto di scambio con tutte le sue derivazioni) sono stati assunti come primo impiego nello stato , dunque mettono la burocrazia davanti alla realtà

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      anche lei, come molti, confonde la dimensione etico-politica con quella iperuranea dell’analisi macroeconomica. il post, essendo per sua natura iperuranico, si riferiva a quest’ultima, esondando da questo discorso ogni considerazione di tipo moralistico, atteso che peraltro i buoni e i cattivi sono dappertutto, e non solo nel pubblico.
      detto ciò, le ha mille e più ragioni. ma, vede, il fatto che uno sia un cattivo non esclude che dai suoi comportamenti provenga del buono. E questo non lo dico io, che conto poco, ma l’insegnamento di mefistofele.
      grazie per il commento

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      • Gior

        L’ossessione per le spese “inutili” detti anche sprechi, e la loro quasi irrilevante rilevanza da un unto di vista generale (almeno quelli normalmente citati), osservata in individui post-moderni, si collocano nello spazio del magico per l’ndividuo delle tribu’ primitive. E’ terribile incontrare l’ignoranza tche si erge a sapienza e verita’ assoluta. Grande libro – La mentalita’ primitiva – di Lucien Lévy-Bruhl.

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  7. jocelyn72s

    Solo in virtù del fatto che parte della spesa produce consumi, non si può parlare di “improduttività”?
    Quindi giustifichiamo tutti i dipendenti di enti inutili e vetusti, gli stipendi da centinaia di migliaia di Euro solo in virtù del fatto che producono consumi?
    Mi pare una forzatura.

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