La globalizzazione emergente si fa strada con le infrastrutture

Il notevole dibattere sul rischio di una de-globalizzazione – con lo sviluppo dei vari populismi a dimostrarlo – trascura un’altra evidenza altrettanto osservata e tuttavia non apprezzata nelle sue implicazioni: la crescita dei progetti infrastrutturali nel mondo. Basta soltanto ricordare il caso della Belt and Road Initiative (BRI) cinese, per averne contezza.

La lettura sovrapposta di questi due movimenti, che sembrano in contrasto, suggerisce un altro schema interpretativo: non sono le pulsioni de-globalizzanti, che evocano anche il desiderio di nuovi isolazionismi, a determinare la tendenza prevalente, ma le tensioni di una nuova globalizzazione emergente. Non meno globalizzazione, con la spinta populista a far da detonatore, ma l’esatto opposto: più globalizzazione, ma con nuovi centri di potere. Il sovranismo, quindi, sta mascherando un nuovo ordine globale policentrico. In questo schema, gli investimenti infrastrutturali giocano un ruolo da protagonisti, e non a caso.

Una globalizzazione di tipo nuovo

L’economia internazionale, infatti, si basa sulla disponibilità di infrastrutture per la semplice ragione che si regge sullo scambio di beni e servizi. Le merci, come anche i servizi che le accompagnano, devono poter viaggiare lungo corridoi logistici di varia natura per far crescere l’economia. Un detto cinese suggerisce, a chi voglia diventare ricco, di costruire una strada.

In generale, ogni movimento internazionale di scambi – oggi diremmo una globalizzazione – viene condotto lungo alcune coordinate. Quelle immediatamente visibili sono le rotte commerciali, la moneta che denomina le transazioni, la lingua che viene usata per le comunicazioni. Il tutto si accompagna a un ordine politico che informa questi strumenti garantendone la sostanziale stabilità. La storia è piena di esempi: si pensi alle rotte commerciali degli imperatori mongoli del XIII secolo, rese celebri da Marco Polo, o alla gestione della sterlina nell’epoca della globalizzazione britannica del secolo XIX magnificamente illustrata da Marcello de Cecco in “Moneta e Impero” (che si concentra sugli anni cavallo del 1900).

Sulla base di queste coordinate, si capisce perché l’attuale globalizzazione sia di marca statunitense, articolandosi in gran parte lungo rotte commerciali marittime – sulle quali viaggia oltre il 90% delle merci – presidiate dalla marina USA. Questi scambi, inoltre, vengono denominati in gran parte in dollari americani, che sono l’unità di conto del calcolo economico internazionale e il mezzo di pagamento di molte di queste transazioni, proprio come l’inglese è la lingua delle comunicazioni globali, oltre che della scienza e della tecnica. Il tutto accompagnato da un ordine politico di tipo liberal-democratico che gli Stati Uniti condividono con l’Europa.

Le attuali rotte commerciali marittime fanno perno sugli Stati Uniti attraverso i corridoi atlantici e pacifici

 

Se ci basiamo su questo schema, possiamo interpretare le attuali convulsioni alle quali sembra sottoposta la globalizzazione statunitense – alcune delle quali provocate dagli stessi Stati Uniti e dall’Europa – come l’esito del tentativo di alcuni paesi di individuare nuove linee di globalizzazione in concorrenza con quelle attuali.

La forte marca continentale eurasiatica della Belt and Road Initiative 

L’esempio della BRI cinese è centrale, ancora una volta. La narrazione della rinascita delle vie della seta, nostalgica di un passato che viene percepito come glorioso, cela l’evidente necessità da parte della Cina di costruire rotte di collegamento terrestri lungo il continente euroasiatico. Spostare traffico merci dal mare alla massa terrestre dell’Eurasia sarebbe per la Cina un risultato notevole, contribuendo a mettere in sicurezza molti approvvigionamenti. Si pensi, ad esempio, ai rifornimenti petroliferi, che dipendono in buona parte dai collegamenti che passano dal Mar Rosso e il Golfo Persico presidiati dalla Marina USA. Un obiettivo del genere – spostare masse di commercio dal mare alla terra – è intrinsecamente collegato allo sviluppo di infrastrutture. E osservando alcuni degli sviluppi recenti possiamo anche provare a indovinare gli equilibri politici che stanno convergendo verso questa nuova forma di globalizzazione.

Il resto dell’articolo si può leggere sul sito di Aspenia on line

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.