Supporto europeo: le quattro opzioni dell’Italia


di Paul Vanderbroeck*

“Supporto dell’UE senza condizionalità, altrimenti faremo da soli”, ha dichiarato il premier Conte di recente ai suoi partner europei. Per la terza volta in poco più di cento anni, l’Italia si trova di nuovo dinanzi alla sfida di doversi rialzare da sola. Le prime due volte dopo una guerra, oggi dopo una pandemia.

Il paese ha quattro alternative. Le prime due sono quelle di cui ha parlato Conte: fare da soli, il che vorrebbe dire lasciare l’Eurozona (“Italexit”), o accettare il supporto finanziario europeo a determinate condizioni economiche, ossia impegnandosi ad attuare riforme socioeconomiche.

Quest’ultima è evidentemente l’opzione preferita dall’Olanda e da altri paesi del Nord Europa.

La terza alternativa contempla aiuti finanziari cinesi soggetti ad alcune condizioni politiche, vale a dire l’impegno a sostenere l’agenda politica di Pechino in Europa e nel mondo. Questa è un’opzione realistica. Il porto italiano di Trieste fa già parte della “Nuova via della seta”. La Cina ha già dimostrato di non volersi lasciare scappare nessuna occasione per aiutare direttamente l’Italia in questa emergenza sanitaria.

La quarta e ultima opzione, quella dei prestiti diretti per l’assistenza sanitaria legata al coronavirus e dei sussidi alla disoccupazione, verrà discussa nell’Eurogruppo del 23 aprile. L’opzione preferita di Conte, il supporto finanziario per la ricostruzione economica senza condizioni, sembra essere stata definitivamente depennata dopo il recente accordo tra i ministri delle finanze europei.

La prima volta in cui l’Italia si trovò in ginocchio e senza forze, nel 1918, decise di fare da sola sotto la guida di Mussolini. La nazione aveva aiutato gli Alleati a vincere la Prima guerra mondiale ma fu lasciata completamente sola, ed entrò in una spirale politica ed economica negativa terminata nel 1945, quando si ritrovò nuovamente al collasso. In quell’occasione optò per gli aiuti finanziari americani (il Piano Marshall) accettando precise condizioni politiche: niente Comunisti al governo.

Seguì un periodo di crescita economica e prosperità. Ma ci fu un prezzo da pagare. Tenere lontani i Comunisti dal potere fu possibile solo al costo di enormi concessioni al movimento sindacale. Il risultato è stata una fase alquanto prolungata caratterizzata da un mercato del lavoro rigido e da una bassa produttività. L’economia è stata tenuta in vita dalla delocalizzazione della produzione, dai contratti di lavoro a tempo determinato, da un sommerso di dimensioni rilevanti e dall’aumento del debito pubblico. Ciò ha impedito all’Italia di recuperare crescita economica dopo la crisi finanziaria del 2008.

È nell’interesse sia dei paesi del Nord Europa che dell’Italia continuare a negoziare dopo l’Eurogruppo, di modo che oltre agli aiuti emergenziali per fronteggiare l’emergenza nell’immediato vengano sbloccati anche i fondi necessari alla ricostruzione economica. Ma a condizione che l’Italia accetti di introdurre alcune riforme socioeconomiche.La prosperità di tutti i paesi dell’UE dipende dalla presenza di un mercato interno ampio e ben funzionante composto da nazioni economicamente solide.

Nel lungo termine, sia l’Italexit che una maggiore influenza della Cina causerebbero danni economici all’Italia e all’Europa. L’UE ne uscirebbe fortemente indebolita, come pure la statura dell’Italia sulla scena mondiale. In entrambi i casi – come fanno giustamente notare alcuni intellettuali e politici italiani – a beneficiarne potrebbe essere la Mafia. E nessuno vuole un narcostato nel Sud Europa.

English version.

  • Paul Vanderbroeck (Ginevra) ha la doppia nazionalità olandese e svizzera. Lavora come Executive Coach e negli ultimi quattro anni ha trascorso molto tempo in Italia, dove ha insegnato alla LUISS Business School