Coito ergo sum


                                                                                                                                                                                                                                                                                   Parte I, Anamnesi/3

L’Io soffre, perciò.

Il mondo costruito a sua immagine e somiglianza è un catalogo di orrori, dove regna solo la morte.

A nulla valgono i lumi della ragione, i progressi dello scientismo, i diritti politici, il benessere materiale: l’Uomo, cercato sin dai tempi di Diogene, si rivela una bestia assetata di sangue, a cominciare dal proprio.

L’istinto di autoaffermazione lo rende cieco, non si accorge che tale pulsione contiene quella del suicidio, limite infinitesimale della propria volontà di potenza.

Non capisce che l’eclisse dell’altro conduce inevitabilmente alla distruzione di sé.

Non vede, non capisce, ma sente.

Sente la fame della Volontà, per dirla con Schopenhauer. Un appetito che, per sua natura, è insaziabile e quindi foriero di disperazione. Una disperazione cosmica diceva Leopardi, quindi senza salvezza alcuna. L’Io soffre e non vuole soffrire più. Cerca dentro di sé una soluzione e la trova in quella più semplice: il godimento.

La ricerca della felicità coincide con quella del piacere: il de-vertere di Pascal nella sua forma volgare, spogliato finalmente da qualunque senso di responsabilità.

Senza religione, ridotta a superstizione. Senza etica, ormai relativizzata, rimane solo quello che Kierkegaard chiamava lo stadio estetico, simboleggiandolo con Don Giovanni.

L’Io forgia da sé il suo nuovo comandamento: Godi.

Così facendo l’Uomo ritrova se stesso e nel suo corpo lo strumento, letteralmente a portata di mano, per onorarlo: il sesso.

Trecento anni dopo il Cogito, l’Io individua nel Coito la base della realtà.

La pulsione degenera facilmente in pornografia. Nel pansessualismo a-relazionale del nostro tempo.

La sterzata decisiva stavolta non arriva dalla filosofia, ormai surclassata dalla scienza.

Dopo Heidegger, che rileva lo stretto legame tra l’affermarsi del dominio filosofico del soggetto e quello della tecnica come orizzonte esistenziale dell’uomo moderno, la filosofia inizia a disinteressarsi dell’Io. Lascia solo l’Uomo col suo dolore.

Ma l’Io non rimane orfano a lungo.

La sua malattia abbisogna solo del medico giusto e lo trova a Vienna all’inizio del XX secolo.

E’ un medico viennese, Freud, a elaborare la prima nuova compiuta teoria dell’Io-Uomo, forgiando una disciplina nuova che promette di liberarlo dall’angoscia: la psicologia analitica.

L’Io trova un linguaggio fresco e nuovi adoratori che non solo compensano il tradimento dei vecchi chierici, ma individuano il suo nervo scoperto, la vera radice dei suoi mali: il disturbo sessuale.

La nevrosi nasce da un trauma della sessualità e uno sviluppo sessuale corretto consente una crescita ordinata dell’Io.

Solo una sana e consapevole libidina salva gli uomini dallo stress…

L’intuizione di scorgere motivi sessuali latenti in comportamenti non esplicitamente sessuali è il colpo di genio della psicoanalisi.

L’Uomo genitale guadagna il centro della scena, più venerato di prima. Diventa perno di una nuova trinità – Es-Io-Super Io – che occupa lo spazio lasciato vuoto da quella antica e promette di sanare il male di vivere per via sessuale.

Cosa chiedere di più?

L’Io diventa un oggetto scientifico, meritevole perciò di analisi secondo il metodo della scienza. Abbandona finalmente le astrazioni incomprensibili dei filosofi. Si emancipa sessualmente.

Diventa autenticamente moderno.

Trionfa.

L’auto-esibizione analitica si volgarizza in esibizionismo pornografico. Prima del pensiero. Poi, inevitabilmente, dell’immagine.

Legioni di individui iniziano ad affollare le salette degli psicoanalisti celebrando inconsapevolmente la propria personalità con la contemplazione ossessiva del proprio ombelico.

Scavano dentro le proprie cicatrici per trovare il sangue vivo delle proprie inquietudini.

Affogano ossessivamente nell’immagine si sé, come Narciso.

Sessant’anni dopo, nel 1978, La cultura del narcisismo diventa un libro firmato da Christopher Lasch.

Non è un caso che uno dei saggi più importanti di Freud pubblicato nel 1914 sia proprio l’Introduzione al narcisismo, col quale lo scienziato viennese sacralizzava sull’altare della psicoanalisi un ventennio di riflessione psicologica iniziata nel 1892 con uno studio di Havelock Ellis sull’autoerotismo.

L’Io del malato di narcisismo, spiega Freud, è di fatto il centro della corrente libidica. Il paziente perde ogni interesse verso l’esterno rivolgendo a sé stesso la propria corrente libidica oggettuale, dando così forma a sovrainvestimenti dell’Io che sfociano ad esempio nelle manie di grandezza.

La fase narcisistica dell’Io può incoraggiare l’omosessualità, ipotizza Freud riecheggiando chissà quanto consapevolmente la vecchia sodomia dantesca.

Ma il sottotesto è chiaro: il sesso diventa la chiave di lettura del mondo. La condizione erotica – almeno nella sua versione pudìca dell’innamoramento – la giustificazione solenne a qualunque perversione. Il diritto sessuale corrode il dovere morale.

In nome di tale diritto la società occidentale si autoassolve le sue aberrazioni. Il diritto all’amore (versione romantica dell’istinto sessuale) implica quello di recedere dal dovere della responsabilità.

E’ l’argomento principe del narcisista. La traslazione oggettuale della propria condizione soggettiva.

I saggi sul narcisismo si susseguono per tutto il secolo.

Al fuoco si aggiunge benzina.

Si arriva a distinguere il narcisismo buono da quello cattivo, neanche fosse colesterolo.

La scissione fra fisiologia e patologia conduce all’ingresso della personalità narcisistica nella diagnostica psichiatrica.

La terza edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, noto con l’acronico DSM, la bibbia delle malattie mentali redatta dall’American Psychiatric Association, codifica la diagnosi del disturbo narcisistico della personalità. Siamo nel 1980.

Nel 2000 la versione numero IV della DSM, il soggetto malato di disturbo narcisistico della personalità viene fotografato così:

1. ha un senso grandioso di importanza (per esempio: esagera risultati e talenti, si aspetta di essere notato come superiore senza un’adeguata motivazione);
2. è assorbito da fantasie di successo, potere, fascino, bellezza, e amore ideale;
3. crede di essere “ speciale ” e unico, e di dover frequentare e poter essere capito solo da altre persone speciali o di classe elevata;
4. richiede eccessiva ammirazione;
5. ha la sensazione che tutto gli sia dovuto, cioè ha la irragionevole aspettativa di trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative;
6. usa gli altri per raggiungere i propri scopi;
7. manca di empatia: è incapace di riconoscere o identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri;
8. è spesso invidioso degli altri, o crede che gli altri lo invidino;
9. mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntuosi.

C’è qualcuno fra noi che sia senza peccato?

Un altro lungo giro per tornare al punto di partenza.

Al Tedio.

L’amore sfrenato di sé conduce dritti al male oscuro, dicono i nostri medici. L’esasperazione del piacere fa tracimare l’Io nel non Io. L’apice del godimento strappa il velo di Maya e scopre le orbite vuote della morte.

Eros-Thanatos, diceva Empedocle nel V secolo prima di  Cristo.

Pulsione sessuale e pulsione di morte, ammonisce Freud.

Di fronte alla visione della morte l’Io collassa e si spegne come una candela esausta. Appare la depressione che oggi rischia di diventare una pandemia, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità.

La peste del Tedioevo.

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