Dei saeculi


Parte III Diagnosi/3

In quanto entità biologica, l’uomo ha sempre desiderato il piacere, conseguenza basica del soddisfacimento dei suoi bisogni primari. In questo non è diverso dagli altri animali. Il raggiungimento del piacere è la cartina tornasole della propria esistenza in vita, il “premio” che spetta all’entità biologica per aver soddisfatto il suo istinto di sopravvivenza.

Ciò che differenzia l’uomo dagli altri animali è la sua capacità di immaginazione, frutto del suo essere intelligente. Da tale singolarità scaturiscono i bisogni “immateriali” dell’uomo, siano essi razionali (conoscenza) o emozionali (sentimenti), ammesso che tale distinzione abbia un senso. Ma in un’ottica riduzionista, anche tali necessità possono essere considerate esigenze primarie della specie, pari a quella di nutrirsi. In tal senso una passione immateriale in tutte le sue forme (arte, scienza, amore) non è ontologicamente differente (migliore o peggiore) di quella per la buona cucina: obbedisce a un’esigenza primaria e assicura il raggiungimento del piacere una volta che tale esigenza sia soddisfatta. Ossia conferma al soggetto di essere vivo, allontanando l’ipoteca della morte.

L’uomo, perciò, ha sempre amato la conoscenza, i sentimenti, la ricchezza e il potere proprio per la promessa di godimento (antidoto psicologico alla morte) che essi implicano. Prima del tempo moderno, tuttavia, non li aveva mai venerati.

Oggi invece sugli altari del mondo (saeculi) i nuovi pagani d’Occidente sacrificano se stessi agli dei del Tedioevo, espressione del principio supremo (dIo) che conforma il mondo facendo leva sulle passioni degli uomini, le loro affezioni. Afferma come regola aurea il diritto al loro soddisfacimento.

Il dIo umanista ha conquistato la società incoraggiando i bisogni naturali dell’individuo con la stessa veemenza con la quale il Dio delle religioni li scoraggiava. E’ del tutto logico che quest’ultimo ne sia uscito sconfitto.

Oggi ognuno di questi neopagani inconsapevoli recita un atto di fede silenzioso che non è più una semplice formula dottrinaria: è un’adesione de facto. La fede nel Demiurgo non si recita con le parole, ma con l’azione (ad esempio col consumo). Tutta la nostra vita si regge sulla convinzione che i tre Arconti continueranno a reggere il destino del mondo, ignorando persino quanto sia fideistico, e quindi irrazionale nella dizione corrente degli atei, un atteggiamento siffatto.

I nuovi dei saeculi svalutano la fede in Dio, ormai ridicolizzata dai chierici della ragione, e così facendo ne affermano una nuova che agisce nel mondo e lo traforma. La denuncia del giogo di Dio serve solo ad affermare quello di dIo. Un giogo assai più tirannico e senza possibilità di liberazione.

Il Grande Inganno non sfugge alle menti più acute della modernità, che poco possono però davanti agli eserciti marcianti dei nuovi fedeli, ubriacati dal delirio di onnipotenza infuso loro dal dIo del Secolo che promette loro conoscenza, ricchezza e potere al prezzo, tutto sommato insignificante, della loro libertà.

Ed è proprio il sequestro della libertà il sottotitolo del discorso contemporaneo che, ipocritamente, afferma il contrario quando urla, urbi et orbi, che l’uomo deve essere libero di conoscere, avere e potere. In tal modo, celebrando il trionfo dell’arbitrio, il dIo condanna l’uomo alla schiavitù dei suoi desideri, ossia dei suoi bisogni primari. Lo tiene avvinto alla terra esaltando l’egotismo e cancellando l’altro da sé. Il mIo è naturalmente in conflitto col tuo (l’Altro).

Con finezza davvero sofistica, anzi, l’altruista viene bollato come il sommo egoista che gode del benessere altrui. Il dIo richiude l’universo della materia sopra ogni uomo fino a soffocarlo con i suoi stessi desideri. Fino a farlo morire di tedio (Te-dio) come un martire credente.

L’atto di fede, tuttavia, rimane il costituente ultimo della realtà. Il dIo esige di essere creduto.

Guardiamo la scienza. Il fideismo – attributo principale della religiosità – è la base costituente della ricerca contemporanea. La fisica, che pretende di spiegarci il creato, afferma senza tema di ridicolo che è in grado di sapere cosa è successo nell’universo a partire da un decimiliardesimo di miliardesimo di yoctosecondo (10 elevato a -43) dopo l’esplosione del Big Bang. E la gente ci crede, magari senza capire.

La fisica delle particelle deduce da un’equazione a matrici l’esistenza di antiparticelle che “devono” esserci, sennò non funziona il Modello standard che regola l’infinitamente piccolo secondo i criteri della meccanica quantistica. E la gente ci crede, magari un po’ confusa.

Ancora: i fisici cercano una superforza che unifichi le forze fondamentali (elettromagnetismo, gravità e interazione forte-debole), per poter coordinare il Modello standard con la Teoria della relatività. Ma per riuscirci devono elaborare un’altra teoria, quella delle stringhe, secondo la quale l’universo dovrebbe avere cinque, undici o addirittura 42 dimensioni. E la gente ci crede, senza neanche stare a pensarci su.

Tale credenza sfida ogni evidenza, come si conviene con gli atti di fede.

Gli acceleratori producono miliardi di collisioni cercando la particella di Dio (nome omen), il bosone di Higgs che dovrebbe dare coerenza all’universo. Ma non la trovano. E allora per spiegare la massa mancante che tiene in equilibrio l’universo (dedotta da altre equazioni) dicono che esiste una materia oscura che c’è ma non si vede. E tutti, ancora una volta, ci credono.

Vale la pena citare alcuni stralci del libro di un fisico, Frank Close, che ha pubblicato un testo per spiegare gli arcani dell’antimateria, per capire lo stato di felice inconsapevolezza del sostrato religioso, o meglio neoteologico, in cui si agita la meta-fisica: “Viviamo in un mondo di materia, ma il vuoto è pieno zeppo sia di antimateria “virtuale”, sia di materia “virtuale”, nel senso che questi oggetti non si materializzano (…) il neutrino non ha una struttura interna: è un fuoco fatuo, costituito da un pezzo di nulla che gira come una trottola e svolazza nello spazio a un velocità prossima a quella della luce nel vuoto (…) si è sviluppata l’allettante idea che, mentre il fotone non è né materia né antimateria, possa esistere una versione più massiccia del neutrino che appartiene ad entrambe le categorie (…) secondo un’argomentazione teorica promettente oltre ai neutrini noti ne esistono altri che aspettano di essere scoperti”. Per concludere la sua lunga dissertazione sulla fisica delle particelle così: “Con una tale fonte di ispirazione offerta dai fatti, dalla realtà, (il corsivo è mio) chi ha bisogno di cose inventate?” Ovviamente nel testo non c’è traccia di autoironia.

La neuroscienza, poi, con un suoi cascami  di neurofisiologia e psicoanalisi risolve anche i dilemmi etici. Scansionando migliaia di cervelli questi nuovi sapienti sono arrivati alla conclusione che solo all’interno della qualità affettiva della réverie, e quindi della relazione sociale significativa, è possibile determinare l’emancipazione dell’Io. Il soggetto è, infatti, autonomo solo se è contemporaneamente legato e separato dall’Altro. Ancora una volta la traduzione nella lingua neovolgare della scienza del precetto evangelico di amarsi l’un l’altro. Con la differenza che se lo dice il prete ci speriamo, se lo dice lo scienziato ci crediamo.

Un’altra applicazione della scienza, la genetica, con la sua principale derivata, la biotecnologia, contrabbanda altri mondi possibili forte delle preghiere dei suoi seguaci che credono al dIo che promette loro una vita finalmente libera dalla malattia e, in un futuro prossimo, persino dalla morte. Presto vivemo fino a 130 anni, annuncia di tanto in tanto qualcuno, senza però rispondere alla domanda che l’uomo si fa da sempre: per fare cosa?

Nel dubbio, il dIo scientifico mappa il dna dell’uomo per scovare i suoi difetti di funzionamento e risolverli. Come Dio creò l’uomo dal fango, così il dIo vuole creare l’uomo nuovo impastando una poltiglia di geni secondo una formula migliorata. Procreare non gli basta più. Il suo delirio narcisistico lo spinge a ri-creare. E pazienza se il prezzo che paghiamo è un terribile determinismo genetico che rischia di far piombare l’umanità nella dittatura più spaventosa della sua pur lunga storia. La dittatura della materia dalla quale non si sfugge e che quindi richiede obbedienza assoluta e fede.

C’è qualcuno, d’altronde, che non vorrebbe sconfiggere la morte?

Il dIo economico (mIo) non è meno esigente in fatto di fede. Il concetto cardine di tutta l’economia del mondo, non a caso, è il credito, ossia la fiducia. Chi gode di credibilità – ergo è oggetto di fede – diventa automaticamente un re Mida che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Chiede e gli viene dato. Ciò vale per gli uomini, le banche, le multinazionali e anche gli stati. E poiché la controparte del credito è il debito, la fede nel dIo economico spinge e constringe tutti gli attori dei processi economici a indebitarsi continuamente confidando nei poteri regolatori della mano invisibile (altro concetto religioso) dei mercati o dei sacerdoti delle banche centrali. Le crisi che periodicamente squassano le fondamenta del costrutto economico vengono fatalisticamente definite crisi di fiducia, ossia miscredenza, quindi peccato di fede.

Allora intervengono i sacerdoti: banchieri e finanzieri, il cui compito precipuo è ristabilire la fiducia, ossia generare una catarsi collettiva nel nome del dIo invitando i fedeli a pentirsi degli eccessi (da loro stessi provocati) e della mancanza di fede. Il prezzo da pagare, di solito altissimo per molti fedeli, sotto forma di perdita dei risparmi, del lavoro o della casa, (e d’altronde la colpa del peccato deve essere mondata) viene considerato il normale pedaggio per una palingenesi, al termine della quale la luce della divinità tornerà a splendere sotto forma di una nuova accumulazione.

L’altalena del ciclo economico piuttosto che individuare la debolezza del mIo, lo rafforza e lo potenzia. La carestia è la punizione per i peccatori, mentre i fedeli ingrassano nella grazia di dIo. Il collegamento fra religione (protestante in questo caso) e capitalismo, d’altronde, è evidente sin dai tempi di Max Weber.

Come per la scienza, anche l’economia si è dotata di un suo linguaggio falsamente essoterico per celare i suoi presupposti del tutto esoterici. Ciò che più oggettivo non potrebbe essere, le quantità materiali, viene costantemente rielaborato dalle statistiche in chiave funzionale e aggregato in equazioni che provocano la dovuta soggezione fra i non addetti ai lavori, ossia il popolo ignorante.

L’economia provoca nel comune cittadino lo stesso timor dei della scienza, avendone mediamente una conoscenza assai approssimativa. E in fondo non importa a nessuno. L’atto di fede viene costantemente incoraggiato e premiato per il tramite dei beni che il dIo dispensa a piene mani nel nome di una crescita infinita a tutti coloro che professano la fede nell’accaparramento.

C’è qualcuno, d’altronde, che non desidera la ricchezza?

Al contrario degli altri, il terzo Arconte, il dIo democratico, arriva a tutti grazie alla sua chiarezza cristallina. Non usa equazioni, ma parole. Belle parole. Buone, che riscaldano il cuore, o cattive, che lo aizzano alla rabbia. Il che lo rende tremendamente popolare.

Come gli altri dei saeculi, offre beni ai suoi fedeli, ma sotto forma di diritti, la più raffinata delle seduzioni. E promette ricompense ai suoi sacerdoti: i politici. La loro ricompensa è il potere. La moneta per acquistarlo è il consenso. Per ottenerlo non badano a spese. Il voto di scambio, che solo una filosofia giuridica incline al moralismo e al paradosso ha potuto far assurgere a fattispecie penale, è la costituente morfologica del contratto che lega il votante al votato. Nel migliore dei mondi possibili, l’elettore dovrebbe votare il politico in cambio del suo impegno per il bene comune e della sue idee (con il suo portato di credibilità personale e sociale). Nella prassi spesso si accontenta di molto meno: un posto di lavoro, una raccomandazione, soldi.

In tal modo il denaro diventa il lubrificante del circuito democratico, con tutte le controindicazioni etico-penali che sovente ne derivano. Il politico ne ha bisogno per pagarsi l’elezione. Quindi si riduce ad essere oggetto e soggetto di elargizione. In nome della legittimità democratica.

Tale atteggiamento intrinsecamente corruttivo sarebbe tutto sommato innocuo se limitasse le sue conseguenze all’assoggettamento della democrazia al potere economico e, in ultima analisi, al commissariamento per via bancaria della rappresentanza ogni volta che alla politica vengono tagliati i fondi. Nei periodi di crisi economica, quindi. Che, come stiamo imparando in questi anni incerti, genera quasi di riflesso una crisi democratica. Nel senso che le esigenze di consenso vengono messe da parte. I politici finiscono in panchina e scendono in campo i teorici e tecnici della buona amministrazione che, guarda caso, dicono a chiare lettere di non occuparsi di consensi e perciò sono in grado di fare la cosa giusta. Dal che si deduce che la ricerca del consenso conduce inevitabilmente a quella sbagliata.

Infatti la conseguenza più insidiosa dell’azione del dIo democratico è quella che potremmo chiamare la bulimia da diritti. Le società occidentali hanno talmente ingrassato i diritti, propalati dai politici per generare consenso, da aver smagrito i doveri. I diritti appartengono a tutti, i doveri solo a quelli che se ne assumono la responsabilità. Sembra perciò del tutto normale dare un voto a un politico perché ci trovi un posto di lavoro, visto che è un diritto, con l’ambizione magari di non fare nulla una volta conquistato.

La scissione fra diritti e doveri perciò, che pure corrispondono a un principio unico, quello della giustizia, è la conseguenza più devastante della seduzione democratica nelle nostre società. Ancora più grave della corruzione endemica, per non dire sistemica, che diffonde, essendo quest’ultima nient’altro che l’espressione economicistica dell’indebolimento etico che colpisce un individuo una volta che venga compromesso nel suo spirito il fragile equilibrio fra diritti e doveri.

Ciò anche in relazione all’aspetto dogmatico, e quindi sostanzialmente religioso, che anche il dIo democratico sussume. I diritti sono universali (katholikòs): cattolici. Sono fissati sulle tavole della Legge dal dIo per l’uomo. Perciò dovunque ci sia un uomo devono essere predicati.

L’evangelo democratico è la parola ultima – la meno peggio, dicono i pochi critici – che le società possono diffondere per darsi un’ordine.

Dai pulpiti dell’Occidente partono richiami disinteressati ai popoli del mondo perché si aprano al Verbo del dIo: elezioni, parlamento, libertà. Il ministero della parola viene affidato ai politici e, se necessario, amplificato dai cannoni. Le conseguenze sono sotto i nostri occhi.

C’è qualcuno, d’altronde, che non vorrebbe un mondo più libero e giusto?

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Un Commento

  1. @benadam49

    Bellissimo come sempre, complimenti.
    Una sola nota vorrei fare. Il Dio delle religioni non è il Principio divino ed è per questo che ne uscirà sconfitto. Il Principio divino invece è l’artefice vero di quanto stà avvenendo : la correzione avverrà solo dopo quei disastri apocalittici che tutto il mondo antico ha mostrato. Il divino è artefice di tutto ciò, dicevo, e questo è detto nella Torah e da Gesù che la ripete dicendo : “ascoltino ma non capiscAno, guardino ma non vedAno”. Gesù dice di questo “divenire” anche con le Sue parole su guerre e disastri e con l’invito a CAPIRE Daniele con le sue bestie che distruggono l’umanità : ” tutto DEVE avvenire” dice Gesù.
    Auguriamoci quindi che sia quanto prima la Parusia Manifestazione di questo divino, oggi “nascosto” ma operante per quel fine : sarà quel giorna quella “apocatastasi” ritorno all’origine di cui Gesù ha detto e che il fariseo Paolo ha tra-dito, ha portato ad altro.
    Saluti
    @benadam49

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