Il figlio di dIo
Parte III Diagnosi/1
Nel nome del Sapere, l’Avere domina il Potere.
Il dIo del Tedioevo è Uno e Trino. La nuova Trinità si declina nei suoi attributi visibili – Io ho (mIo), Io so, Io posso – che saturano ed esauriscono la volontà di potenza del dIo, autentico signore della materia, che perciò svela la sua natura di Demiurgo sorto dalle ceneri di Dio.
Un Demiurgo parricida. E ciò malgrado benevolo.
Come il suo omonimo platonico, il nuovo Demiurgo tende al bene, anzi offre il bene sotto forma di felicità (rectius godimento) alla crescente massa di fedeli che si riconoscono in Lui, poiché in ogni io c’è il dIo. In ognuno c’è l’Uno.
Ma tale promessa di felicità è effimera.
La potenza del Demiurgo e delle sue tre emanazioni (Arconti) è densa di nostalgia, come insegna la Gnosi. La sua fame di eternità non può essere saziata dalla materia, destinata alla corruzione. Il regno del Demiurgo è la sua stessa prigione.
Il dIo che vuole esser Dio – quindi promessa di vita ed eternità – si affanna, miete legioni di anime, trasferendo in ognuna di esse la sua febbre e il suo desiderio delirante, ma non gli basta.
Non gli può bastare mai.
Le fondamenta dell’altare sul quale si è innalzato vacillano sotto il soffio velenoso del tedio, gemello oscuro del godimento sul quale ha costruito il suo dominio. Il male di vivere corrode il suo tempio come una ruggine, fino a sgretolarlo. L’Uomo, che si è fatto dIo uccidendo Dio, paga il prezzo del parricidio col suicidio.
La morte di Dio sussume quella dell’Uomo.
Per sfuggire a tale destino il dIo sogna il suo sogno più grande. Lancia la sfida finale alla Natura matrigna, che ancora si ostina a regolare la sua vita. Decide di sovvertirla, pure a costo di finire anch’egli. Benedetta sia la morte dell’Uomo se il suo corpo vivrà in eterno sulla Terra (e non aldilà).
Il sogno dell’immortalità prende forma e diventa Verbo. Gli Arconti si scatenano. I loro profeti annunciano l’avvento di un nuovo Messia che porterà ai neouomini la vita eterna senza la fastidiosa controindicazione della morte (certa) e della (ipotetica) risurrezione.
Il delirio narcisistico dell’Umanesimo senza Dio ha creato in meno di seicento anni le premesse per il suo stesso superamento. Una nuova Trinità opera e agisce nel mondo allo scopo evidente di transumanizzarlo per sconfiggere una volta per tutte il tedio, sottoprodotto della fragile carne umana.
Si traccia la rotta e si individua l’arrivo: quello che oggi i sociologi chiamano post-umanesimo, o nuovo umanesimo. La sconfitta della sofferenza, che i religiosi insegnavano passasse per la rinuncia all’Io, nel Tedioevo si celebra con la sua super-esaltazione che lo trasfigura e lo muta in un Mostro (monstrum), ossia qualcosa di straordinario, di divino, che viola la natura e che è un ammonimento e un avvertimento per l’uomo.
Il figlio di dIo.
Il Grande Narciso che Sa, Ha e Può tutto, evoluzione dei piccoli narcisi ciclotimici del nostro tempo. Il degno erede del Demiurgo.
Il sogno prende forma e già oggi ne osserviamo i primi prototipi agitarsi sui palcoscenici delle cronache. Ha le fattezze di un corpo eternamente giovane, sano e infinitamente manipolabile. La mente del Mostro è sempre fresca come quella dei bambini perché nulla lo impegna a lungo, né il piacere lo stanca, perché non ha memoria. E’ perennemente felice perché ha eliminato per via genetica il tedio, ombra della morte. Il suo solo desiderio ontologico è specchiarsi nell’adorazione di masse di piccoli io che sognano di somigliarli.
L’immagine – di per sé metafora dell’immortalità – è perciò il suo grembo; la comunicazione, attraverso la quale viene veicolato, il suo strumento oppressivo. Adorazione a distanza, però, perché il Mostro può essere ogni cosa ma gli altri per lui sono l’inferno, come preconizzava Sartre. L’altro non gli appartiene, né lo riguarda. Egli basta a se stesso. L’anaffettività diventa il dogma di un essere perennemente innamorato.
Ma solo di sé.