Le due anime demografiche degli Stati Uniti
Se la cultura sembra uno degli ingredienti che compongono la ricetta riproduttiva di una comunità, nulla di strano che le condizioni sociali, che la cultura in qualche modo definisce e l’economia quantifica, siano un’altra determinante della decisione di avere oppure no figli. E se guardiamo lo stato generale della natalità nei paesi occidentali, che invecchiano senza speranza con ciò destinandosi a una lenta estinzione, dovremmo dedurne che la storia ci ha condotti a un punto dove a condizioni ideali – mai le nostre società furono più ricche e istruite – corrisponde una diffusa denatalità. Il che dovrebbe farci sorgere qualche domanda sul senso della vita, se tali domande non fossero ormai fuori moda o destinate al dileggio.
Poiché il tema è ricco di sfumature, tuttavia, vale la pena continuare le nostre ricognizioni guardando stavolta a un altro caso interessante che si aggiunge ai numerosi che abbiamo osservato in questi anni: gli Stati Uniti. Prendiamo spunto da un bel paper del NBER che trae alcune conclusioni molto interessanti sul tema che stiamo analizzando prendendo spunto da una singolarità da tempo presente nella società americana: la notevole differenza di fertilità fra le donne bianche e quelle di colore. Prima però di avventurarci nell’esame di questa singolarità, vale la pena ricordare a che punto siamo e da dove veniamo.
Nel 1950 c’erano meno del 15% di over 65 rispetto alla popolazione dei 25-64enni. Nel 2050 si prevede saranno praticamente il 40%. Il secolo americano finirà con i capelli bianchi. Non è il solo, come abbiamo visto.
Non si arriva a questo punto senza aver percorso una lunga strada. E il paper del NBER ci aiuta a scorgerne qualche tratto osservando come, sin dalle rilevazioni statistiche che risalgono al 1830, le donne afroamericane avevano in media un figlio in più rispetto alle bianche. Questo stato di cose è perdurato nel tempo, nonostante “l’emancipazione, l’industrializzazione, il baby boom e l’avvento di metodi efficaci di controllo riproduttivo”. Diventa perciò interessante interrogarsi sulla ragioni di questa diversità.
L’autore spiega questa differenza facendo riferimento alle discriminazioni subite dalle donne di colore, sia sul versante del mercato del lavoro, che su quello delle violenze. Vale la pena, in particolare, sottolineare questa considerazione, che dice assai più di quello che sembra: “L’accesso ineguale ai servizi educativi e medici limiterà la capacità dei genitori afroamericani di investire pesantemente nel capitale umano attraverso un minor numero di bambini”. Insomma: l’investimento in capitale umano, sembra di capire, ha come presupposto la riduzione della natalità. ll che è logico in presenza di un vincolo di bilancio diffuso. Detta diversamente la trasformazione in ceto medio di gran parte della popolazione ha generato il desiderio di investire nel capitale umano della prole, ma al prezzo di avere meno figli perché il ceto medio ha comunque un vincolo di bilancio che ricchi non hanno e i poveri nemmeno, anche se per motivi opposti. Il fatto che il ceto medio – inteso come classe di reddito – sia anche la parte della società dove hanno trovato terreno fertile le istanze della modernità, chiude sostanzialmente il cerchio: l’economia, la cultura e la società convergono verso l’esito della denatalità.
Ma non divaghiamo. Torniamo al nostro paper che ci riserva molte informazioni interessanti. La diseguaglianza patita dalle donne afroamericane ha avuto esiti persistenti e generato effetti che hanno finito con l’alimentarla. Gli stipendi più bassi, ad esempio, hanno depresso la loro capacità reddituale, così come la maggior frequenza di famiglie numerose le possibilità di migliorarla. La condizione proletaria, potremmo dire, è stata assai più comune fra le donne di colore. E questo per una serie di ragioni, innanzitutto storiche. Il tasso di fertilità delle afroamericane in condizione di schiavitù, ad esempio, diminuiva se queste donne ottenevano la libertà. E un esito simile aveva l’aumento del tasso di scolarizzazione, che si è osservato dopo l’istituzione delle Rosenwald schools all’inizio del secolo scorso.
Partendo da queste considerazioni, il paper si concentra sull’effetto che ebbe sulla fertilità delle afroamericane la grande stagione dei diritti civili iniziata nel 1964 culminata con l’emanazione del Civil Rights Act dello stesso anno. “Le sue disposizioni – spiega l’autore del paper – hanno avuto impatti diretti e qualitativamente ampi su numerosi determinanti della fertilità, come ad esempio maggiori opportunità per il mercato del lavoro e accesso all’istruzione e ai servizi sanitari. Inoltre sono diventate in genere efficaci immediatamente dopo il 1964 e sono risultato molto impattanti per le persone di colore del sud, rispetto ai neri o bianchi del nord”. Da qui l’idea di confrontare gli indici di fertilità tra le donne afroamericane del Sud prima e dopo il 1964 con quelli di altri gruppi di altra etnia e regioni nello stesso periodo.
I risultati confermano i sospetti. Si è registrato “un declino qualitativamente ampio e discontinuo dei tassi di fertilità generale delle donne di colore del sud degli Stati Uniti immediatamente dopo il 1964, senza alcun calo comparabile tra le donne di colore del nord o le donne bianche in qualsiasi altra regione”. Si è innestato quindi quello che l’autore chiama “convergenza della fertilità” delle donne afroamericane del Sud verso la media nazionale. Il tasso di fertilità delle donne del Sud era di 151 figli ogni mille abitanti nel 1963 e scende a 118 nel 1969. Anche le donne bianche di tutte le altre regioni videro declinare il tasso di fertilità, ma non in quest’ordine di grandezza. Pure, si restrinse il gap di fertilità fra le due categorie osservate.
Insomma: una legislazione per combattere le discriminazioni ha avuto un chiaro effetto negativo sui tassi di natalità, che, chissà perché, finisce sempre con l’associarsi alla povertà (o alla notevole ricchezza) al condizionamento religioso o allo svantaggio sociale. Da allora la condizione delle donne afromericane è sicuramente migliorata e il processo di convergenza si è accentuato. Questo ci riporta al grafico iniziale: le società invecchia, inesorabilmente.
Un altro grafico però, contenuto nello stesso studio, ci lascia con una domanda in sospeso.
Negli anni ’50 e fino ai primi ’70 il tasso di fertilità della donne 15-19enni delle regioni del nord degli Usa, a prescindere dalla loro etnia, è stato sempre superiore a quello delle giovani donne afroamericane del Sud. Unica classe di età in cui si è verificata questa singolarità. Quali sono i motivi di un comportamento assolutamente non in linea con quanto abbiamo osservato? Si accettano risposte.