Il secondo passo


Parte IV, Prognosi/3

Parlare di Dio, oggi, è scandaloso.

Il discorso su Dio, nell’Occidente figlio dell’Illuminismo, confina i relatori nel recinto della fazione dei credenti. Costoro vengono guardati con sospetto o ironica tolleranza dall’intelligencija del Secolo, o vengono blanditi dalle varie chiese, sempre interessate a mietere anime.

Questa sorta di bipolarismo dello spirito non giova a nessuno, né al partito degli atei né al partito di Dio. Tantomeno giova al discorso su Dio, destinato a infrangersi su questa nuova cortina di ferro. Da una parte troverà orecchie rese sorde dall’ossessione secolarista. Dall’altro fin troppo aperte, a certe condizioni.

Sicché il discorso diventa muto. Inutile. Anziché ri-unire, come dovrebbe fare, finisce col dividere, rassicurando ognuno delle sue certezze dogmatiche, alla fin fine sterili.

Per evitare lo scandalo, di conseguenza, bisogna servirsi di un’astrazione. Poniamo di essere di fronte a una scelta radicale. Mettiamo di dover scegliere fra la vita e la morte.

La scelta fra vivere e morire la facciamo ogni giorno. Ogni momento. Essere o non essere, scriveva il poeta. La cronaca di questo dilemma racconta di conflitti spesso laceranti. Ma il fatto stesso che l’uomo sopravviva da migliaia di anni lascia supporre che la vita, per il momento, abbia la meglio. Il saldo rimane positivo, per dirla con le parole dell’economia.

Una volta accertato che l’uomo preferisce vivere, si pone la domanda su cosa sia la vita, al netto della sua istanza biologica. E’ qui rifà capolino il bipolarismo. Da una parte gli atei, con il loro portato di materialismo relativistico, appena addolcito da un po’ d’etica di derivazione kantiana (nella migliore delle ipotesi). Dall’altra gli uomini di fede, con il loro fardello di sacralità. Si scatena un altro dialogo fra sordi, come testimonia l’ampio dibattito in corso sulla bioetica. Probabilmente la domanda è sbagliata.

Facciamone un’altra: cosa vuol dire essere vivi? La risposta più ovvia è: non essere morti. Bene, sulla morte c’è assoluta identità di vedute fra i due partiti. La discordia si riapre se si accenna a quello che accade dopo la morte. Ma se si rimane alla sua qualità, l’accordo è pressoché totale. La morte unisce davvero tutti. Riguarda tutti. Per questo fa paura, in quanto, come abbiamo detto, l’uomo vuole vivere.

Sicché la morte è ciò che unisce le due fazioni. E la paura della morte è il loro punto di contatto: li origina.

La paura della morte, costante della storia è stata l’alimento sostanziale delle due fazioni, ognuna delle quali ha elaborato una propria risposta culturale. L’ateo materialista, il più moderno, si è affidato alla speranza scientistico-mondana; il religioso, più tradizionalista, a quella ultraterrena. Ma qualunque sia la risposta, non fa altro che alimentare la domanda.

Esorcizzare la paura della morte, serve solo a rafforzarla.

Tutto ciò ha grandi conseguenze. Ma quella più devastante è che la paura della morte impedisce di vivere. Ci rinchiude in noi stessi, prima, e nel recinto delle fazioni, poi.

Assistiamo così al paradosso che coloro che più di ogni altra cosa vogliono vivere – tutti noi – finiscono con l’avere paura della vita, che inevitabilmente contiene la morte perché ogni cosa ha fine. Nulla che sia vivo può essere trattenuto. L’attimo fugge, e noi con lui.

In questa fuga si realizza la promessa della vita, il suo procedere.

Ne deriva che coloro i quali non hanno paura della morte, quindi della promessa di cambiamento che ogni cosa porta con sé, sono gli unici che vivono pienamente. Perché, appunto, la vita inevitabilmente contiene la morte.

Tutto ciò, che sembra una stravolgimento del senso comune – “vivo quindi accetto la morte”, invece di “voglio vivere e quindi non vorrei morire” – è stato declinato in modo diametralmente opposto dalle due fazioni. La risposta degli uomini di fede si basa sull’aldilà e i suoi vari paradisi. I neopagani del Tedievo puntano sull’aldiquà, assicurando che presto la scienza ci farà campare in eterno.

I vivi, però, ossia coloro che vivono senza paura di morire, non stanno né di là né di qua. Stanno esattamente nella corrente del tempo. Partecipano a una parte e all’altra. Dalla fede nel Padre trovano la ragione per la fede nel Figlio. Partecipano a Dio e all’Uomo.

Pregano quindi pensano.

Sanno che il mondo si crea con gli altri e si assumono la responsabilità di vivere con gli altri secondo giustizia, quindi contemperando i diritti che si sono faticosamente conquistati, con i doveri che ad essi corrispondono. Scegliendo di vivere non temono di morire.

Sono esseri sfuggenti, perciò, i vivi, che in quest’epoca bipolare finiscono facilmente all’indice dell’una o dell’altra fazione. Ma sono anche l’unica speranza per riuscire a scompaginarle, tali fazioni, solo che riescano a fecondare la nostra società con la pratica quotidiana della ragionevolezza, mescolanza (mixtione) finalmente attuata fra la ragione profana dei moderni e la fede sacra degli antichi.

L’auspicio è che, avvicinandosi l’una all’altra, le due fazioni si dissolvano l’una nell’altra per consentire all’uomo di domani di sciogliere il dilemma fra fede e ragione che appassiona (e divide) da secoli.

Se dall’astrazione torniamo per un momento al nostro gioco di società, troviamo che ognuno di noi ha la straordinaria opportunità di scegliere.

Possiamo decidere se accettare la vita, vivendo pienamente in tutte le sue stagioni e i suoi cambiamenti, fino alla morte, oppure no. Se vivere con ragionevolezza, realizzando la nostra piena umanità, oppure perseguire il monstrum, il sogno alienante di un postumanità tecnocratica.

Riconoscendo il dilemma che si trova di fronte, l’uomo occidentale compie il primo passo verso lo scioglimento dell’enigma.

Il secondo passo sarà quello decisivo.

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  1. Legionedelsole

    Salve Maurizio e buon anno,
    complimenti per la tua abilita’ narrativa che potrebbe portarti ad avere un futuro anche come scrittore. Noi volevamo proporre una piccola riflessione in merito a tali argomenti, senza voler istigare guerre di religione o inopportune antipatie pseudopolitiche, filosofiche ecc…., anche perché non ne siamo all’altezza. Secondo il nostro pensiero, espresso in semplice sintesi stilizzata con la Triade di Luce, quando parliamo di Vita, di esseri umani o di altri esseri viventi in genere, dovremmo considerarla esistenza: la vita si serve della morte come giudice e terminator per chiudere cicli esistenziali. La vita affronterà la sua morte solo quando l’ultimo organismo vitale cessera’ la sua esistenza: siamo tutti figli dello stesso mistero, quello della Vita. Quindi durante il lungo cammino della nostra esistenza ci facciamo delle idee sulla morte, ma non sappiamo cosa sia; abbiamo paura delle nostre idee sulla morte. Tutto grazie alla nostra mente, che non riesce a percepire l’eterno, di cui la vita puo’ esserne un pezzo che compone il grande puzzle del Tutto. Pensiamo che la Vita non si possa ridurre ad una lotta di supremazia per la ragione sull’esistenza umana tra religiosi ed atei, in quanto la condivisione del suo Mistero che la origina e le infonde significato dovrebbe essere accettazione e punto di incontro per tutti gli esseri viventi. Da qui partire per la comprensione della spiritualità che poco centra con le varie religioni: e’ molto probabile che l’essere umano non sia ancora in grado di percepire la grande verità. Per ora ne conosciamo tante, ma pensiamo che la cosa grave sia di credere di avere la certezza di possedere la grande verità. Da questo credo sono nati i più grandi crimini contro la vita stessa. Come dicevi tu e’ proprio la paura che ci rende criminali e vittime. La verità vi renderà liberi, qualcuno affermava, ma sempre per paura non vogliamo ricercarla: non riusciamo a credere di poter essere liberi per rincorrere la consapevolezza evolutiva. Non siamo nati con le catene!!
    Arriveremo a capirlo?
    Grazie per le riflessioni che proponi.
    Buone cose,
    Legsol

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      grazie per l’apprezzamento. ma la mia ambizione non è avere un futuro da scrittore: semmai un passato 🙂
      nel merito, non sono certo di aver compreso quello che voleva dire, ma concordo sul fatto che sia in ballo qualcosa in più di un semplice confronto identitario fra atei e religiosi. Si cerca un punto di contatto, finora tovato nella paura della (propria) morte, in un rinnovato amore per la vita (degli altri). ma, vedete, Tedioevo è solo una rappresentazione, non un manuale di strategie. quindi nessun consiglio da dare, semmai qualche preghiera da recitare.
      grazie per l’attenzione

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  2. Legionedelsole

    Concordiamo,
    la preghiera, che dovrebbe essere fatta con amore e consapevolezza, e’ una grande forza positiva che genera armonia in chi la pratica e per la comunità. Sarebbe una grande risorsa per il cambiamento se fossimo tutti sintonizzati su questa lunghezza d’onda; purtroppo questa economia consumistica deve puntare su un materialismo serrato e viene trascurata la spiritualità che non viene più contemplata ed alimentata. Noi di Legione vogliamo restare legati anche alla nostra parte spirituale ed una candelina al giorno (luce, la vita che risplende e si rigenera) non ce la toglie nessuno. Lo consigliamo a tutti, questo si: di questo siamo convinti.
    Dunque buone cose e tanta preghiera a tutti,
    Legsol

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