Il dilemma dell’Europa


Parte III Diagnosi/5

Qui e ora il sogno è diventato un incubo. Il migliore dei mondi possibili preconizzato dall’uomo d’Occidente mostra crepe sempre più evidenti. Il colosso mostra i suoi piedi d’argilla.

La crisi, che procede per via economica in perfetta coerenza con la natura economicistica della nostra società, rivela una frattura assai più profonda di quella che ha investito i bilanci pubblici. Scuote i meccanismi della rappresentanza, che nel corso del tempo avevano contrabbandato l’idea di società perfette regolate dal diritto, e investe la costituente stessa di ciò che siamo. Ossia noi. Ossia l’Io.

L’Europa, da dove tutto è nato, diventa il luogo dell’Eterno ritorno, e quindi l’avanguardia del prossimo futuro che ci aspetta.

Ai popoli europei spetta il compito davvero storico di segnare una rotta nuova nel cammino dell’umanità proprio nel momento della loro massima debolezza.

Dalla nostra abbiamo una tradizione che dura da più di venticinque secoli, che è insieme il nostro fardello e la nostra ricchezza. Abbiamo un tesoro di sapienza da cui attingere per compensare la miseria del nostro tempo. A patto di avere l’umiltà di riscoprirlo e il coraggio di di riproporlo.

Altre novità all’orizzonte non se ne vedono. Gli Stati Uniti non sanno proporci altro che il loro culto ossessivo dell’individuo (made in Europe), che crea una società disgregata tenuta insieme dal collante del mito della ricchezza. Ne deriva un autoritarismo economico travestito da democrazia e un’idolatria del successo che è l’anticamera dell’inferno. I paesi dell’America Latina, e con loro gli altri cosìddetti emergenti, fanno poco per dissimulare la loro ambizione di replicare il sogno americano. Ogni punto di Pil guadagnato aggiunge una stella alle loro bandiere. Il blocco asiatico, simbolicamente rappresentato dalla Cina, divenuto il Grande creditore dell’Occidente, procede per la via inversa, fedele alla propria tradizione confuciana che oblitera l’individuo in nome dello Stato. In pratica professa un autoritarismo politico che incoraggia la libertà economica nella misura in cui è coerente con i suoi fini egemonici. E poi c’è il vasto mondo dell’Islam che vagheggia una teocrazia similmedievale, affievolita però dall’inevitabile contatto con gli dei saeculi dell’Occidente. Scienza in primis.

L’Europa sta in mezzo a tutto questo, anche geograficamente. In più è massimamente fragile. Quindi è facile preda di conquista.

Mentre decidiamo il nostro futuro, dobbiamo fare i conti con una depressione strisciante degli individui indotta da secoli di esercizio della nostra volontà di potenza.

Siamo in pieno Tedioevo.

Abbiamo creato una società di fragili narcisisti che inseguono l’eterna giovinezza e l’adorazione per via catodica. Individui pesantemente infantilizzati, quindi de-responsabilizzati, che vogliono solo divertirsi, godere, consumare. Senza pagare il conto perché, dicono, hanno diritto ad avere tutto.

Una società di figli senza padri.

Orfani costantemente insoddisfatti, tuttavia, che nessun paradiso artificiale riesce a saziare a lungo. Specie adesso che il ciclo economico avverso fa scricchiolare il presupposto neoteologico che ha retto il nostro parco giochi: la produzione infinita di ricchezza.

Stretta dalla scarsità, l’Europa dovrà decidere cosa farà da grande. Uscire dal Tedio o implodere nel buco nero del nostro tempo.

Il dilemma ci riguarda tutti.

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