L’alchimista che trasformò la carta in oro

C’era una volta un alchimista che, come tutti gli alchimisti, cercava la pietra filosofale, il magico ingrediente capace di trasformare il metallo vile in oro.

Scrutando il miraggio della trasmutazione, il nostro alchimista vagava senza costrutto fra nigredo, albedo e rubedo senza però mai giungere al compimento della Grande Opera. Il metallo rimaneva vile, e l’oro non compariva. Il sogno della perfetta purezza rimaneva confinato negli astrusi libroni che nascondeva nei recessi del suo studio, che esibiva agli occhi del pubblico trattati di matematica, astronomia, fisica, filosofia e teologia, nei quali eccelleva, primo fra i dotti.

Per nulla pago della vasta erudizione, il nostro alchimista languiva di desiderio e invecchiava con mestizia. Sul grande medagliere dei suoi successi incombeva minacciosa la nube grigia del fallimento.

Finché un giorno la nomea del grande erudito giunse alle orecchie di un re. Costui ormai da anni accumulava montagne di Note di Banco, che ormai si chiamavano Banconote, che gli dicevano valessero più del tesoro della Corona.

Il vecchio Re faticava a comprendere come potesse, quella montagna di carta, esser tanto preziosa come gli spiegava il suo banchiere di corte. Nè tantomeno capiva come potesse, quella ricchezza di carta, crescere al crescere dei debiti che lui stipulava con la Banca.

“I vostri debiti Maestà – diceva l’oscuro banchiere – sono la ricchezza del Paese”.

E il Re, patriotticamente, ne faceva altri.

Un giorno però, stanco di arrovellarsi nell’indeterminatezza, il sovrano stabilì di chiamare cotesto erudito per rivolgergli la domanda che gli pesava sul cuore.

L’alchimista partì dalla campagna, dove dimorava, e arrivò nella grande capitale. Sorprese e meraviglie lo aspettavano.

Fu condotto a corte da un manipolo di soldati che lo portarono alla presenza del sovrano. Con gli occhi bassi, timoroso persino di alzare il capo, il grande erudito aspettò che si compisse il suo destino.

Il Re lo scrutava curioso. Davvero quel piccolo uomo poteva spuntare il rovello che lo tormentava?

Decise di metterlo alla prova. Prese un fascio di banconote e lo lanciò ai piedi dell’alchimista.

“Ditemi signore – disse il Sovrano – cosa valgono questi fogli di carta?”

L’alchimista osservò le banconote e le contò.

“Nulla vostra maestà: è solo vile carta scarabocchiata”.

Il Re sentì il rovello che lo arrovellava arrovellarsi ancor più forte.

” Perché mai allora – chiese – tutti ne vogliono?”

L’alchimista rispose prontamente:

“Per ciò che promettono, vostra Maestà”.

Era precisamente questo il punto. Il sovrano sorrise soddisfatto.

“E com’è possibile – chiese il re esternando alfine il suo tormento – che una promessa valga più dell’oro?”

L’alchimista fu folgorato dalla rivelazione. Il miraggio della Grande Opera finalmente si realizzava.

Non servivano studi né procedimenti, né zolfo né mercurio, né distillazione né sublimazione. Ciò che serviva era solo una parola magica: credibilità.

Il segreto dell’alchimia finalmente si svelava. Non era il vile metallo che bisognava trasformare in oro, ma la carta.

“Perché una promessa regale è oro”, concluse, inchinandosi fino al pavimento.

Il Re lo fissò stupito. Possibile fosse così semplice? Che bastasse scrivere su un foglio che quel foglio era oro perché ciò accadesse?

“Alzatevi”, disse all’alchimista. “Ho deciso di giovarmi dei vostri servigi”.

L’alchimista vide il sole di una gloria imperitura sorgere davanti a sé.

Chinò il capo supplice e acconsentì.

E tutti vissero felici e contenti.

Nel 1696 Isaac Newton, matematico, astronomo, fisico, filosofo, teologo e alchimista, si trasferì a Londra per prendere il posto di guardiano della Zecca Reale, dove elaborò un nuovo programma di coniazione delle monete. Nel 1699 divenne direttore della Zecca e, da questa posizione, elaborò una rivoluzionaria riforma monetaria che mise le basi di quello che, nel 1821, diventerà il Gold Standard inglese e più tardi il sistema monetario internazionale. Nel 1717, infatti, Newton fissò la parità fra sterlina e oro, ossia il cambio fisso fra una sterlina e la relativa quantità di oro. Tale cambio rimarrà inalterato fino alla fine del Gold standard, dopo la prima guerra mondiale. A una sterlina ( e più tardi anche e soprattutto di carta) sarebbero corrisposti 113,0016 grani di oro fino. In quel preciso momento la moneta divenne insieme unità di conto, mezzo di scambio e riserva di valore. Fu l’atto di nascita della liquidità monetaria. Moneta e credito divennero sostanziali sinonimi, fondendosi grazie a un’alchimia straordinaria quanto inedita. La Banca d’Inghilterra e tutte le altre banche erano tenuta a convertire a richiesta le loro passività monetarie (banconote, depositi) in oro. Ma nessuno lo richiese mai.

La carta è più pratica.

Un Commento

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  2. legione del sole

    Simpatica anche questa fabula, con uno stralcio di storia (probabilmente vera…per noi Newton era solo lo scienziato al quale era caduta una mela in testa) che la gente non conosce, ma sulla quale è importante fare delle riflessioni: perchè non le raccontiamo ai nostri figli, magari lasciamo il compito agli insegnanti a scuola???
    Avanti a dritta…!!!
    Buone cose,
    Legsol

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    • Maurizio Sgroi

      Salve,
      la storia, per quanto affabulata, è assolutamente vera. Newton era un valente alchimista. Fra le sue carte sono state ritrovate decine di migliaia di pagine di scritti dedicati proprio alla ricerca alchemica. Ma non c’è nulla di strano: all’epoca i dotti studiavano tutto, mica come adesso. Così come è vero che fu direttore della zecca e che fissò per la prima volta la parità aurea della sterlina. Le fabulae sono narrazioni/interpretazioni di ciò che accade o è accaduto, ma partono sempre da ciò che accade o è accaduto (o per lo meno da come io lo vedo, con tutti gli errori di prospettiva del caso).
      Grazie per il commento

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