Putin d’Arabia e la nuova geopolitica dell’Opec

Sono insistenti ormai le voci per cui il cosiddetto ”Opec plus”, ossia la versione allargata della vecchia Organizzazione dei paesi produttori di petrolio, allargata ad altri produttori come la Russia, finisca per essere istituzionalizzata. Se ne parla ormai dalla metà di febbraio, proprio in coincidenza con il bollettino mensile dell’Opec che fotografa la straordinaria crescita della produzione americana di shale oil, confermata anche di recente.

Una coincidenza importante: gli USA, che estraggono e raffinano petrolio ma non fanno parte dell’Organizzazione, con il nuovo aumento di produzione stanno praticamente vanificando i tagli ribaditi lo scorso 30 novembre per tutto il 2018 dall’Opec. Quei tagli avevano l’obiettivo di alzare ulteriormente i prezzi, per dare ossigeno a stati, come Russia e Arabia Saudita, che sulle risorse energetiche basano le loro stabilità economica e sociale.

Poche settimane dopo l’IEA, l’agenzia internazionale dell’energia, ha pubblicato le sue previsioni: l’aumento previsto della produzione statunitense (per quasi 4 milioni di barili da qui a cinque anni, fino a toccare i 17 milioni di barili nel 2023) è la vera novità strategica oltre alla fame crescente di greggio della Cina, e conferma che lo shale oil statunitense ha cambiato lo scenario globale. Non solo modifica la fisionomia dei mercati energetici, con gli Usa ormai primi produttori ed entrati stabilmente anche nel mercato delle esportazioni. Ma interviene anche sul modo in cui i produttori tradizionali interpretano il loro ruolo nello scacchiere internazionale. Per capire la portata di questo cambiamento, basta ricordare che di recente gli Emirati Arabi Uniti, che di barili ne producono 3 milioni l’anno, destinati quasi tutti all’export, complice la crisi col Qatar hanno comprato per la prima volta un carico di petrolio dagli Usa.

Il resto dell’articolo è disponibile sul sito dell’edizione on line di Aspenia, che l’ha ospitato, a questo link.

Buona lettura

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