I tassi negativi e il crollo dei rendimenti a lungo termine

Se bastasse il buon senso, sarebbe sufficiente notare che il crollo dei rendimenti obbligazionari a lungo termine ha seguito l’arrivo in zona negativi dei tassi di interesse che la Bce paga alle riserve bancarie ormai dal 2014. Ma purtroppo il caro senso comune non basta, perché le correlazioni spurie sono sempre in agguato e gli economisti sono più scettici di San Tommaso, pure se assai più di lui covano nel segreto le congetture più dogmatiche. Ad esempio quella che una banca centrale non possa agire sui tassi a lungo ma solo su quelli a breve. O, peggio ancora, che la politica monetaria, nel lungo periodo, sia neutra rispetto all’economia reale. Che sarà pur vero se magari per lungo periodo intendiamo, keynesianamente, quello in cui saremo tutti morti. E forse nemmeno in quel caso.

Ma poiché gli economisti sono anche capaci di questionare le loro convinzioni – e questo va sicuramente a loro merito – vale la pena riportare un breve approfondimento che la Bce ha scritto per provare a quantificare quanto e in che modo la politica dei tassi negativi (Negative interest rate policy, NIRP) abbia impattato sui rendimenti delle obbligazioni a lungo termine, che, udite udite, ne risentono eccome. Proprio come ne risentono anche le valutazioni degli asset.

Notate che l’impatto stimato cresce col tempo, e questo probabilmente a causa di ragioni diverse che hanno a che fare con le aspettative e i calcoli di convenienza che gli agenti economici maturano a lungo andare.

Ricordiamo che il tasso sulle riserve (deposit facility rate, DFR) è stato diminutio di 50 punti base fra giugno 2014 e fine 2019. Nel segmento a breve termine, come era presumibile, la curva dei rendimenti ha replicato quasi del tutto il calo del DFR. Il tasso OIS (overnight index swap) a una settimana, ad esempio, è sceso di quasi 60 punti base nello stesso periodo, mentre i tassi OIS decennali, che servono come riferimento per i tassi a lungo termine sugli asset privi di rischio nell’eurozona, sono diminuiti di 130 punti base, praticamente il doppio del segmento breve. Anche i rendimenti delle obbligazioni delle società non finanziaria, con investment grade, sono diminuiti di 120 punti base, mentre, per converso, i corsi azionari aumentavano del 25%.

Certo, non tutto è dipeso dalla politica della Bce. Altri fattori sono intervenuti, come ad esempio la compressione dei premi a termine, sui quali comunque hanno pesato non poco le politiche di QE. Perciò la Bce ha condotto una simulazione per quantificare il peso specifico del NIRP sul calo dei rendimenti, arrivando alla conclusione che tale politica “avrebbe generato una compressione dei rendimenti sulle obbligazioni sovrane a due e a dieci anni, pari, rispettivamente, a circa 40 e 35 punti base alla fine del 2019”.

Poco o tanto che sia, è qualcosa che è bene sottolineare, a uso e consumo dei teorici della neutralità della moneta, nonché del debito di gratitudine che i debitori dovrebbero coltivare amorevolmente nei confronti delle banca centrale. Come d’altronde chi ha goduto dei rialzi azionari di questi anni.

La Bce quantifica al 3% il limite inferiore del contributo offerto dal NIRP ala crescita die corsi azionari. Che può essere poco o può esser tanto, a seconda di come la si veda, ma è sicuramente qualcosa che è meglio avere. Come la Bce in questi anni sofferti. Non sarà perfetta, ma meglio di niente.

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