Le ricadute finanziarie della crisi degli scambi commerciali

Quando con molta preoccupazione i governi di tutto il mondo elencano i danni che una politica scriteriata di tariffe può infliggere ai settori produttivi del proprio paese dovremmo sempre ricordarci che dietro un bene o un servizio che circola per ogni dove c’è un flusso finanziario.
Quando si compra o si vende un’auto o un software si attiva quel misterioso mondo che consente alla vostra carta di credito o al vostro conto corrente di muovere denaro. Sia che importiamo o che esportiamo, il commercio sarebbe semplicemente impossibile senza un’infrastruttura finanziaria che muove crediti e debiti in tempo reale.
Questa ovvietà, in questi mesi di pensosi ragionamenti sul futuro del commercio internazionale, è rimasta molto sotto traccia, per la semplice ragione che diamo per scontato che questa infrastruttura finanziaria ci sarà sempre, tariffe o no. E questo è un grave errore concettuale. Questa infrastruttura, infatti, basa la sua funzionalità sullo stato di salute dei suoi componenti, che sono soggetti finanziari di varia natura, soprattutto banche, che si appoggiano a un sistema di pagamenti nel quale operano come soggetti primari le banche centrali. Dovrebbe risultare chiaro che una crisi degli scambi, che inevitabilmente genera una loro contrazione, mette a dura prova la profittabilità di chi su questi scambi ci lucra, per la semplice ragione che li rende possibili.
Bene ha fatto, perciò, il Fmi, nel suo ultimo Global financial stability report a ricordarci che le tariffe rischiano di sabotare un settore vitale del sistema finanziario, ossia il trade finance. Quindi i movimenti finanziari generati dagli scambi di beni e servizi. Parliamo di un settore che vale, ogni anno, 10 trilioni di dollari e genera 18 miliardi di utili alle banche che lo sostengono.
“Il finanziamento del commercio dipende da flussi di cassa stabili, catene di approvvigionamento e quadri normativi, tutti fattori che potrebbero essere compromessi da brusche variazioni tariffarie. Man mano che i flussi di cassa dei debitori diventano meno prevedibili e si ricercano maggiori linee di credito commerciali, le banche inaspriscono i criteri di concessione dei prestiti a causa dell’aumento del rischio di credito. La riduzione della disponibilità di credito intensifica le pressioni di insolvenza dei debitori, innescando una spirale negativa di riduzione dei finanziamenti e dei volumi commerciali. Le tariffe possono anche riconfigurare le catene di approvvigionamento e richiedere nuovi processi di conformità, aumentando i costi delle banche e riducendo la loro propensione alla sottoscrizione”.
Fin qui il Fondo. Si può aggiungere come pro memoria, che il sistema bancario internazionale può essere danneggiato per molte altre ragioni dall’aumento delle tariffe. Basta vedere, nel grafico che apre questo post, come hanno reagito le quotazioni bancarie dopo il “liberation day” del 2 aprile. E’ chiaro a tutti, quali siano i rischi. Ma evidentemente non abbastanza.
