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Ritorna il rischio geopolitico che accelera le borse

Quando sembra che il mondo caschi a pezzi torna sempre utile far tornare nel campo di gioco la memoria che ci ricorda senza neanche troppa fatica che il mondo è sempre cascato a pezzi, per la semplice ragione che intanto si ricostruiva. Prendeva nuove forme.
Questa visione “laica” delle crisi che fanno tanto rumore per nulla, che rientrano nello spazio di un post sui social o di una nuova pettinatura, non piacerà a molti, che coltivano il feticismo delle crisi come una volta si diceva di quello delle merci. E questo per la semplice ragione che l’eruzione di una crisi per un attimo li toglie dall’uguale che assedia la loro esistenza. Uno shock è meglio di un’anestesia costante nutrita con abbondanti coadiuvanti chimici magari.
Fuor di metafora, poiché tutto intorno a noi ci ricorda che stanno aumentando i rischi – e il Fmi mette sul piatto il rischio geopolitico oggi di gran moda – è sempre utile usare la memoria per ricordare che non è certo la prima volta e che non sarà neanche l’ultima. Che il rischio nasconde delle opportunità e le crisi di conseguenza.
Poi ci sono le borse, certo, l’oscuro oggetto del nostro desiderio per la semplice ragione che metaforizzano la nostra cruda passione per il denaro facile, a torto o ragione ritenuto il surrogato della nostra felicità e quindi fonte di grandi anestesie totali.
Le borse ci preoccupano, altroché. Mai come in questi giorni di follie trumpiane si sono visti eserciti di commentatori da social – e non solo – divenire improvvisamente loquaci, analitici, attenti, ansiosi di spiegare i perché e i percome.
Le borse quindi. Adesso che il mondo casca a pezzi, ma forse anche no, visto che Trump dice una cosa e il suo contrario nello spazio di un post, vale la pena usare l’ultima fatica del Fmi, dal quale è estratta l’immagine che apre questa riflessione, per notare come non tutte le crisi di borsa sono uguali, se almeno si prende come punto di riferimento un arco di dodici mesi dal momento della loro irruzione.

Quest’altro grafico ci comunica alcune informazioni interessanti. Il primo pannello, quello a sinistra, ci dice che in media, dal dopoguerra ad oggi, dopo dodici mesi dall’emersione del rischio geopolitico – ma anche dopo un mese se ci fate caso – le borse si sono riprese, guadagnandoci persino in maniera non trascurabile.
Non per tutte le crisi è andata così, ovviamente. Quando scoppiò la guerra in Iraq ci volle un anno intero per invertire la tendenza ribassista. E se andiamo ancora più indietro, fino alla prima crisi petrolifera del 1973, scopriamo che neanche un anno bastò per ritrovare il sorriso borsistico.
Ci sono shock e shock, ovviamente. E alcuni, quelli che più profondamente incidono sul tessuto dell’economia internazionale, sono quelli che portano con sé gli effetti più duraturi. E quindi adesso tutti si stanno chiedendo quanto le intemperanze della nuova amministrazione Usa siano o saranno capaci di far danni di medio periodo. Il fatto evidente, che viene però dissimulato dalla sicumera che molti esibiscono nei loro vaticini e che non lo sa nessuno. E questo è il bello, ossia il padre del rischio. La madre è dentro ognuno di noi.
