Etichettato: bis bollettino globalizzazione global value chain
La nuova globalizzazione parte dall’Asia e punta in Africa

Un interessante bollettino pubblicato dalla Bis di Basilea conferma una tendenza già osservata da altri, che perciò inizia a diventare un fatto concreto: non c’è nessuna deglobalizzazione. Semmai una nuova globalizzazione.
Questo sorgere inizia già a mostrare alcune caratteristiche che gli economisti della Banca sintetizzano con una semplice parola: allungamento. Le catene del valore (Global value chain), ossia i collegamenti che portano una merce o un servizio da un punto a un altro, dal produttore al consumatore potremmo dire, si sono appunto allungate.
Semplificando molto, il succo è che i due centri che fino a ieri l’altro hanno animato in gran parte la globalizzazione, ossia USA e Cina, oggi vedono interporsi nuovi soggetti, per lo più in Asia. Fra i due litiganti, come sempre gode un terzo. Ma questo non vuol dire che si siano interrotte le comunicazioni fra i due grandi centri dell’internazionalizzazione. Anche litigare è una forma di comunicazione. E se si mette in mezzo un terzo ciò che accade è che aumenta il rumore di fondo, quindi serve più tempo per fare le stesse cose di prima. E questo non è necessariamente un problema: le cose comunque si fanno.

Questo, in pratica, esemplifica il grafico sopra. Notate che le relazioni che implicano due passaggi fra fornitore e consumatore sono assai più fitti di quelli che ne implicano uno solo. Fenomeno analogo, anche se meno inteso, si osserva se guardiamo non più alla geografia dei collegamenti, ma ai settori industriali.

La Bis ha confrontato questi collegamenti osservati nello scorso settembre, con quelli esistenti a dicembre 2021. Il risultato ha condotto ad alcune conclusioni. La prima è che “la dipendenza dai fornitori transfrontalieri è diminuita notevolmente”. Da cui si deduce un aumento dei collegamenti indiretti. I famosi terzi che godono. Quindi sono aumentate anche le distanze che si devono percorrere per concludere gli scambi. E questo ha ovviamente un impatto sulla logistica e sui costi dei trasporti che finisce col ripercuotersi sui costi di produzione e quindi quelli finali. Queste osservazioni, inoltre, confermano una tendenza di lungo periodo osservata in Asia, ossia una “maggiore integrazione regionale delle catene di approvvigionamento”.
Se prima la Cina spediva gli smartphone direttamente in California, per fare un esempio, adesso magari ci sarà un prodotto che fa tappa in Vietnam prima di arrivare alla destinazione finale. Ciò implica che i collegamenti fra Cina e Vietnam devono svilupparsi. Detto diversamente: la nuova globalizzazione potrebbe risultare in un numero di connessioni che aumentano rispetto al passato, ossia in una accresciuta densità di relazioni, che però ancora non sembra si sia concretizzata.
Forse la vedremo alla fine di questi processi di riallineamento. Un’altra evidenza utile da sottolineare è che “le imprese asiatiche hanno in genere un numero significativamente maggiore di partner commerciali all’interno dell’Asia che all’esterno dell’Asia, il che indica un maggiore grado di coesione della rete”. La globalizzazione sta fiorendo in Asia, insomma. Questo solleva la domanda se non sarà l’Asia il centro propulsore di questa nuova globalizzazione.
I due grafici ci dicono anche altre cose, spiega la Bis. “Il grafico 1 mostra la preponderanza delle imprese manifatturiere asiatiche e l’elevato grado di integrazione regionale del commercio in Asia. Le imprese degli Stati Uniti (in blu) e dell’Europa (in verde) compaiono in cluster separati, il primo con stretti collegamenti con l’Asia ma anche come cluster “atlantico” separato in alto a sinistra. In termini di industrie, il grafico 2 mostra il grande peso dei settori della tecnologia dell’informazione (IT) e automobilistico all’interno del manifatturiero”.
Quindi Asia, non più solo Cina, grandi produttori del mondo. Computer e automobili, grandi produzioni del mondo. Se considerare che un’auto somiglierà sempre più a un computer in movimento, comprendete perché i governi del mondo sono così in ansia quando si parla di transizione energetica e minerali critici.
L’allungamento delle catene di produzione porta con sé un’altra domanda, stavolta connessa al calcolo economico, che predilige per ovvie ragioni di costi le catene corte rispetto a quelle lunghe: arriverà il momento in cui i produttori (e i consumatori) vorranno di nuovo accorciare i tempi (e quindi i costi) degli approvvigionamenti?
Nessuno può saperlo. Ed è proprio la risposta a questa domanda che contribuirà a decidere il destino dell’Africa, che si trova proprio nel mezzo fra Asia e Usa-Occidente. Nel frattempo può essere utile ricordare che già molte auto si producono in Africa, e che il continente è pieno di minerali critici. Chi ha orecchi intenda, diceva il filosofo.
