Etichettato: fiucia dei consumatori

La sfiducia dei consumatori aumenta

Si sfoglia con un certo rammarico, l’ultimo Outlook globale del Fmi, che registra con comprensibile preoccupazione gli ultimi avvenimenti dell’economia internazionale, non ancora guarita da un’inflazione strisciante, afflitta da contabilità pubbliche costipate e da un clima di relazioni internazionali non certo cooperativo, ora di fronte a uno shock inatteso e gratuito come quello della politica daziaria dell’amministrazione Usa. Piove sempre sul bagnato, d’altronde. E Trump e i suoi sostenitori sono peggio di un bomba d’acqua.

Capire quindi cosa ne sarà di noi, o almeno delle nostre economie, diventa un esercizio molto difficile. I modelli economici non incorporano gli shock autoindotti, proprio come non sono in grado di prevedere le pandemie. Nessuno può credere che queste cose succedano, e quindi non può stimarne la probabilità, finché non succedono.

Nel caso dei dazi americani, era stato detto e ripetuto che sarebbero arrivati, ma nessuno credeva che sarebbe successo davvero, e soprattutto nessuno si aspettava la furiosa reazione dei mercati, che adesso è arrivata a lambire Sua Maestà il dollaro, il convitato di pietra dell’economia internazionale, la cui importanza si fatica a capire, a quanto pare, visto che sembra sfugga pure ai governanti Usa.

Ma non sfugge certo ai consumatori, quei cittadini comuni che votano. E lo fanno non solo infilando ogni quattro anni una scheda nell’urna. Ma lo fanno ogni giorno, con le loro scelte di consumo e di investimento. Soprattutto di consumo, però. Perché gli investimenti hanno una temporalità che si può permette di essere dilatata, mentre i consumi no: sono la benzina che fa girare l’economia, mentre gli investimenti sono il motore.

Per capire come potrà girare il mondo, quindi, e ricordando il peso specifico che hanno i consumi statunitensi sull’economia americana e quindi internazionale, bisogna cominciare a guardare qui: ai quei consumi delle famiglie Usa che nel 2024 sono cresciuti persino a un ritmo superiore alla media storica 2000-19, quando il tasso reale di crescita era del 2,4%, arrivando addirittura al 2,8%.

Tuttavia, scrive il Fmi, “nel 2025 sono emersi i primi segni di una potenziale inversione di tendenza”. A gennaio, infatti, i consumi Usa sono diminuiti dello 0,6%, mentre a dicembre 2024 erano cresciuti altrettanto, e a febbraio sono rimasti stagnanti. Non è ancora chiaro se questi segnali raccontino di una normalizzazione degli schemi di consumo verso le medie di lungo periodo, o se siano l’inizio di qualcos’altro. Dovremo attendere i dati della seconda metà dell’anno per capire meglio, anche perché è probabile che in questi mesi i consumatori Usa anticipino molti acquisti per non rischiare di pagare dazio, letteralmente, una volta che, come è prevedibile se Trump e i suoi non cambieranno idea, aumenteranno i prezzi.

Nel frattempo, gli indicatori della fiducia stanno colando a picco, e soprattutto negli Usa. I consumatori non vedono con piacere le nubi che si addensano sul loro way of life, soprattutto quelli Usa e quelli cinesi, che sono al centro della guerra commerciale in corso. Quanto all’Europa, i suoi livelli di consumo sono sempre quelli: scarsi per la sua taglia e poco funzionali per la sua crescita. E in ogni caso tendono alla stagnazione. Non sarà dall’Ue che arriverà la scossa che dovrebbe dare un elettroshock salutare all’economia internazionale. Anzi, non si capisce da dove dovrebbe arrivare. E questo è il vero problema.