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I paesi asiatici e la tecnologia made in Usa tengono a galla il commercio nel 2025

I flussi commerciali del 2025, scrive Ocse nel suo ultimo outlook sull’economia internazionale, sono stati “sorprendentemente robusti”. Per una volta una buona sorpresa, viene da dire, che deve molto al modo in cui si sono evoluti gli scambi internazionali dopo l’avvento della nuova amministrazione Usa.
Fra il primo e il secondo quarto dell’anno, infatti, si è osservato un andamento a dir poco schizofrenico nel commercio internazionale. La minaccia dei dazi ha convinto molti importatori ad anticipare gli acquisti, provocando un aumento degli scambi globali, su base annua, dell’8,1%. Il contraccolpo è arrivano nel trimestre successivo. Negli Stati Uniti, che sono un po’ l’epicentro di questi movimenti, il volume delle importazioni è diminuito, sempre su base annua, del 29,3%, portando con sé anche un robusto calo del contributo degli Usa agli scambi internazionali che ha interessato anche Svizzera e Irlanda, che hanno molte connessioni con l’economia americana.
L’urto è stato in qualche modo contenuto dalla crescita sostenuta dell’Asia emergente, in particolare dell’India, che ha contribuito ad alimentare i flussi degli scambi internazionali. Anche la Cina ha avuto un ruolo rilevante nel sostegno del commercio internazionale, sia aumentando il volume delle importazioni sia la domanda delle importazioni dei paesi asiatici.

Il grafico sopra ci comunica un’altra informazione importante. “Il commercio in molte economie asiatiche è inoltre sostenuto da un forte aumento del commercio basato sull’intelligenza artificiale, legato alla rapida crescita degli investimenti in apparecchiature ICT negli Stati Uniti e in alcune altre economie”. Così la spiega Ocse.
L’AI, quindi, non è solo una bolla potenziale che interessa solo i mercati finanziari, che giocano con i valori delle azioni. E’ un problema che impatta direttamente sul commercio, e quindi sulla cosiddetta economia reale. Da Taipei e da Seul, infatti, continuano a partire importanti flussi di export verso il resto del mondo. Le stime calcolano che questo contributo arrivi al 15,5% del totale delle merci, e i due terzi di questi flussi si originano in Asia.
Gli investimenti in ICT non sono semplicemente una moda passeggera. Sono il modo che ha trovato l’espansione per proseguire, fra mille ostacoli, il suo cammino. Il fatto che questa spinta creativa ne incorpori una potenzialmente distruttiva, che ci viene costantemente sottolineata, pure se al rischio generare profezie auto avveranti, si associa alla circostanza che gli Usa sono in cima alla classifica di questa particolare categoria di investimenti.

E questo ci dice ancora un’altra cosa di quest’espansione. Ossia che il motore rimane negli Usa, mentre gli asiatici sono le ruote. Cosa sia l’Europa non è chiaro. Forse per questo cresce poco.
