Il capitale cinese sbarca nei porti africani

Una interessante ricognizione del CSIS ci consente di conoscere la mappa aggiornata degli investimenti cinesi nel sistema portuale africano. Un lavoro molto utile per comprendere il livello di penetrazione del capitale cinese nel continente nero, dove ormai si contano ben 46 progetti, fra già esistenti o già pianificati, che in pratica circondano l’Africa, trasformandola in una straordinaria piattaforma logistica per la Cina.

Secondole stime dell’istituto, il capitale cinese è coinvolto nel 17% dei 172 porti censiti dal World port index del 2017. “Questi porti – nota il CSIS – sono posizionati lungo ogni costa, fornendo ai cinesi un accesso alle principali rotte marittime”. Da qui la conclusione che questa politica di investimenti presenti “una potenziale minaccia per l’influenza degli Usa nell’Africa Sub sahariana, così come alla sovranità del continente”. L’ennesima potenziale minaccia, si potrebbe dire, solo ricordando la sfida a tutto tondo nella quale l’emersione della potenza cinese sta gradualmente trasformandosi.

Peraltro i ricercatori che hanno svolto l’analisi premettono che potrebbe non essere esaustiva. Anche perché non bisogna dimenticare che lo sviluppo di queste infrastrtuttre è connessa con quello della Bealt and Road initiative, che si articola non solo con la realizzazione di infrastrutture strategiche, ma anche con lo sviluppo delle relazioni finanziarie fra Cina e Africa che queste infrastrutture generano automaticamente. Basta ricordare il caso di Gibuti o della notevole presenza cinese in Angola per averne contezza.

“I 46 porti identificati – sottolineano – sono allineati con i più ampi obiettivi delle forze militari, commerciali e politiche cinesi”. Non tutti i porti incorporano questi tre obiettivi, spiega il CSIS, e infatti “una delle sfide chiave è disaccoppiare questi tre obiettivi, distinguendo i porti che impattano sulla sicurezza da quelli che offrono guadagni puramente commerciali”. Ma rimane il fatto che questa evoluzione sembra destinata a giocare un ruolo determinante nel confronto sempre più diretto che si sta sviluppando fra le potenze, come si chiamavano una volta, per guadagnare influenza.

Le motivazioni commerciali, ovviamente, non vanno sottovalutate. Il 90% dell’export africano dipende dai porti, e quindi gestire queste infrastrutture garantisce lauti guadagni. Ma com’è noto il denaro, superato un certo livello, non è più un movente ecoomico, ma uno strumento politico.

Aldilà dei necessari distinguo, che consentono di capire l’effettivo valore strategico delle singole infrastrutture, è già rilevante la circostanza che Pechino abbia trovato in Africa il ponte ideale verso l’Occidente. Non l’unico, ovviamente. Ma quello più rilevante.

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