Alla ricerca del sesto elemento: storia breve del grafene
Nel 2024 saranno trascorsi vent’anni da quando maneggiando un pezzo di grafite, (quella che usiamo per le matite) e un po’ di nastro adesivo due scienziati inglesi, più tardi insigniti per il premio Nobel, hanno “inventato” il grafene. Le grandi rivoluzioni cominciano così: esplorando magari per gioco la superficie di ciò che è noto e scoprendo l’ignoto.

Grandi speranze
Nel caso del grafene, la cui possibilità era stata in effetti immaginata già alla fine degli anni ’40, fu subito chiaro che si trattava di qualcosa di grosso. Anzi, per essere più precisi, di infinitamente sottile. Nientemeno che un materiale a due dimensioni. Avendo lo spessore di un atomo di carbonio, che si misura in frazioni di nanometri, la terza dimensione, quella della profondità, è praticamente inesistente. In compenso le due che rimangono sono sorprendenti. Un foglio di grafite, che possiamo rappresentare come un insieme di atomi di carbonio, il quarto elemento fisico più diffuso al mondo, collegati in forma esagonale fra loro, di un metro quadro pesa meno di un milligrammo. A seconda di come si manipola, può essere un ottimo isolante termico e uno straordinario conduttore di elettricità: addirittura sei volte meglio del rame. Fa passare quasi integralmente la luce, ha una trasparenza superiore al 97%, ed è straordinariamente flessibile e insieme duro come un diamante.
In pratica è il sacro graal dei nanomateriali, con applicazioni che spaziano dall’automotive (copertoni più ecologici o batterie) ai tessili, passando per il variegato mondo dei device elettronici, comprese le cellule fotoelettriche e gli smartphone, e fino a costituire un ottimo “integratore” per calcestruzzo o lubrificanti.
Se vi state chiedendo come mai il vostro mondo non funzioni già a base di grafene avete fatto un primo passo nel misterioso mondo che regola l’innovazione. Chi lo frequenta, per mestiere o curiosità, sa bene che tra il dire (una grande idea) e il fare (una tecnologia diffusa) c’è molto più mare di quello che può contenere qualunque immaginazione.
Non è neanche detto che questo lungo viaggio, dove il fattore tempo è determinante, si concluda sempre bene. Gli armadi sono pieni di cadaveri nella forma di grandi intuizioni che non hanno mai superato la traversata del deserto della realtà. Che quando si tratta di un nuovo materiale significa essere in grado di creare dal nulla un’intera catena di fornitura, dalla materia prima in poi, che alimenti un’industria che abbia già deciso di “digerire” l’innovazione, cambiando le proprie linee di produzione, e voglia investire su nuovi prodotti con la determinazione a promuoverli presso il grande pubblico.
Abbiamo visto, raccontando del litio, quanto tempo ci sia voluto per affermare una tecnologia, le batterie agli ioni di litio, che oggi ci sembra scontata. E la portata della promessa del grafene non è nemmeno paragonabile a quella delle batterie al litio. Addirittura una rivoluzione in 2D.
Chi va di fretta, insomma, è meglio che non se ne occupi. Vent’anni, nel mondo dell’innovazione, sono un soffio di tempo, sufficiente appena per farsi un’idea probabilistica della concretezza di un progetto. Si può vedere dove siamo, ma siamo ancora ben lontani dal capire se arriveremo. Nel caso del grafene ciò che si può dire con certezza è che ha sollevato una certa attenzione. Viene preso molto sul serio.
Questo articolo è stato pubblicato nella nuova rubrica New Geoeconomics di Aspenia on line. La versione integrale si può leggere a questo link.
