I nodi fiscali di oggi preparano le tasse di domani

Ocse, nel suo ultimo Interim report ha scritto un altro paragrafo che si aggiunge al già corposo capitolo che alimenta la serie “allarmi inascoltati per future memorie” ricordando per l’ennesima volta che i governi di mezzo mondo, specie quello più ricco (sarà un caso?), sono super indebitati.
Tralasciando di ricordare che al debito dei governi corrisponde un credito (o la ricchezza) di qualcun altro, limitiamoci al fatto che, a scenari immutati, quindi al netto di ciò che è imprevedibile, ossia la realtà, ci comunica una semplice informazione riguardo al futuro: la pressione fiscale è assai probabile dovrà aumentare per mantenere le tante promesse che sempre i governi hanno fatto ai propri cittadini. Quelle pensionistiche, ad esempio, ma anche quella del welfare in generale.
Il dato, di cui potete farvi un’idea osservando il grafico sopra, mostra che la tendenza al rialzo del debito pubblico è l’unica universalità del nostro tempo. Vuoi per la risi finanziaria, vuoi per la pandemia, vuoi per la pandemia associata a una crisi finanziaria, i governi spendono e spandono, come diceva il poeta, e fondamentalmente se ne infischiano delle conseguenza, come diceva quell’altro.
Sicché il verdetto è presto fatto: “Se si vuole che il debito pubblico rimanga su livelli bassi, in molte economie sono necessarie riforme fiscali e di spesa percorso sostenibile”. Un grande “Se”.
Inutile qui riepilogare le solite ricette che Ocse suggerisce (tagli, riforme eccetera). E’ molto più utile porsi una domanda: siamo, come società, nelle condizioni di sostenere un debito pubblico che per sua natura e costituzione storica è destinato a crescere? Ai posteri l’ardua risposta.
