Il blog va in vacanza. Ci rivediamo a settembre con la prossima stagione New World: la nuova distopia

Ogni epoca coltiva le sue distopie. Quindi ogni distopia racconta la sua epoca. Quando nel 1932 Aldous Huxley scrisse Brave New World si intravedeva il mostro del totalitarismo nella filigrana della società immaginata dallo scrittore. Il mondo nuovo di Huxley era quello dell’eugenetica, così di moda in quel tempo, dell’intrattenimento addomesticante, della scienza che disumanizza gli uomini con la scusa di elevarli. Il Mondo nuovo di Huxley era quello di Hitler e Stalin, ma somiglia anche al nostro, se ci pensate.
Dobbiamo quindi cercare le distopie di oggi che capire meglio il nostro tempo, ricordando che non è poi così diverso da quello di ieri. L’uomo vuole e sogna sempre le stesse cose. Sostanzialmente di trasformarsi in una specie di divinità per cancellare il dolore, che è un succedaneo della morte, dalla propria esistenza.
Se vi state chiedendo perché un blog di economia si occupi di queste cose, la risposta è facile. Oggi molte distopie si scrivono con le equazioni e i modelli economici. Meglio: i modelli economici e le equazioni sono la lingua che gli scrittori di distopie usano per giustificare le loro narrazioni. Con una ulteriore avvertenza. Oggi non sono più gli scrittori come Huxley a scrivere le distopie. Sono i politici. Gli uomini che ci governano e governano il mondo.
Il Brave New World del XXI secolo, quindi, lo stanno scrivendo loro. E noi, testimoni, cui è concesso (finora) di far risuonare la nostra voce nel deserto dell’attenzione, possiamo solo usare questo spazio per ricordarlo. Alle orecchie che vogliono sentire, agli occhi che lo vogliono vedere.
Se andiamo nello specifico, sono almeno tre i grandi dossier economici che questi politici distopici stanno scrivendo. Il primo, quello più discusso (che non vuol dire compreso) è quello sulle politiche commerciali. Il presidente Americano usa dazi e tariffe come una sciabola. E, cosa stupefacente, riesce a far passare il messaggio che l’aumento dei dazi corrisponda a una sorta di tributo che il mondo sta pagando agli Usa perché consumino i nostri prodotti. Molti hanno scritto che i dazi li pagano innanzitutto gli importatori Usa, e quindi le maggiori entrate fiscali del governo non arrivano da fuori: arrivano da casa propria. Ma provate a chiedere ai vostri amici se lo sanno. Leggendo i giornali si ha la netta sensazione che i dazi li paghiamo noi. Nella distopia che si sta scrivendo i paesi produttori pagano dazio al Grande Consumatore. Quest’ultimo somiglia sempre di più al bullo che a scuola pretende di farsi dare soldi e merendine da quelli più piccoli, solo perché è più grosso. Di solito non finisce mai bene.
Il secondo dossier, strettamente collegato al primo è quello fiscale. Gli stati, con rare eccezioni, sono sommersi dal debito pubblico. Nei prossimi anni la crisi fiscale morderà sempre di più. Guardate cosa sta succedendo in Francia, per restare dalle nostre parti. E quanto agli Usa, mentre il governo incassa dazi (dai suoi importatori) e magnifica le sue entrate fiscali, al tempo stesso fa approvare una legge che peggiorerà il deficit nel medio periodo. Il costo degli interessi sullo stock di debiti sarà sempre più alto e questo significa meno risorse per il resto. La crisi fiscale è solo una delle declinazioni economiche della crisi di senso delle nostre società, se vogliamo dirla tutta. Il conto cresce in ragione diretta della nostra irresponsabilità. Questo capitolo della nostra distopia lo stiamo scrivendo insieme al governo.
Il terzo capitolo, più esotico ma non meno rilevante, è quello del sistema monetario internazionale. L’innovazione delle criptovalute si sta innestando in un momento storico di grande delicatezza per il ruolo del dollaro come valuta internazionale. Molta parte della classe dirigente americana, con la famiglia del presidente in testa, sta promuovendo un uso crescente di stablecoin con i bond Usa come collaterale, per generare profitti, da una parte, e dall’altro per offrire una ulteriore stampella alla moneta americana, che non ha alternative ma di cui molti vorrebbero liberarsi. Questo sarà il capitolo più interessante da leggere, mano a mano che i nostri scrittori distopici lo scriveranno. La storia è agli inizi. Ma state sintonizzati: vi faremo sapere mano a mano.
Dulcis in fundo ci siamo noi, i cosiddetti europei. Nella distopia che si sta scrivendo l’Europa non esiste. E’, per dirla con parole abusate, “un’espressione geografica”. La cosa triste è che noi europei, nei fatti, pensiamo la stessa cosa. Usiamo parole rutilanti, scriviamo bellissimi rapporti, ma poi, alla prova dei fatti, non combiniamo granché.
Sulle politiche commerciali, siamo stati solo in grado di pigolare per strappare un dazio al 15%, quando invece avremmo potuto dare un segno di esistenza in vita azzerando tutti i dazi, interni ed esterni, per far capire agli statunitensi che non abbiamo bisogno del loro mercato per vendere la nostra roba perché abbiamo già il nostro. Peraltro più grosso. Una politica europea lungimirante dovrebbe sacrificare senza rimpianti il proprio avanzo commerciale, promuovere il mercato interno anche rischiando inflazione e deficit, e diventare la nuova America: un terra che offre opportunità, anziché mettere da parte i soldi e prestarli agli americani. Adesso anche sotto la minaccia dei dazi.
Sulle politiche fiscali l’Europa si preoccupa solo di non fare debiti e neanche ci riesce. E soprattutto fallisce senza speranza nel compito essenziale che si ricollega al terzo capitolo della nostra distopia: la costruzione di un mercato dell’euro come safe asset che sia paragonabile con quello Usa. Detto semplicemente: non ci sono abbastanza euro in circolazione per avere un mercato dei bond in euro concorrenziale con quello statunitense. E non ci sono perché non c’è un tesoro europeo che li emette per i motivi che reputa opportuni. Non c’è un mondo condiviso di regole sulle emissioni di bond in euro (il famoso mercato unico dei capitali) e le banche ancora hanno sulla casacca la bandierina nazionale. L’Europa, come entità finanziaria è un fallimento. L’euro esiste ancora solo perché c’è ancora la Bce. E questo chiude anche il capitolo del futuro monetario dell’Europa.
Cosa ci rimane allora? Smetterla di essere europei e ritornare solo italiani, tedeschi o francese? Lo stiamo facendo già. Ma per fare cosa? Ecco, questo nuovo capitolo della distopia lo osserveremo insieme nella prossima stagione, che comincia a settembre.
Buona vacanze a chi le fa. E grazie per la vostra attenzione.

[heart] Simonetta Savona reacted to your message:
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Buone e meritate vacanze Maurizio.
Una sua indefessa lettrice!
Saluti
Simonetta Savona
Sent from smartphone, sorry for the typos.
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Salve,
Ricambio gli auguri.
Grazie per il commento
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