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Quattro trilioni di opportunità per l’Africa

L’ultimo rapporto dell’AFC, Africa finance corporation, sullo stato delle infrastrutture africane ci comunica un’informazione rilevate su quella che è la madre di ogni sviluppo infrastrutturale: la dotazione di capitale finanziario. Perché la prima cosa che bisogna sottolineare una volta per tutte è che l’Africa non diventerà mai una realtà economica con un peso specifico equivalente alla massa delle sue potenzialità se non riuscirà a far crescere il capitale interno, ossia la quantità di risparmio casalingo. E’ impensabile che un paese enorme possa vivere di prestiti e investimenti esteri senza esprimere una propria capacità di accumulazione.
Il senso del lavoro fatto dall’AFC è proprio questo: vedere su quante risorse finanziarie proprie può contare il continente. E capire come funzioni la sua infrastruttura finanziaria, ossia in sostanza il mercato bancario e del debito, che dovrebbe trasformare queste risorse in strumenti per la crescita. L’osservazione di altre regioni, dove lo sviluppo si è sempre accompagnato con l’aumento del risparmio interno, conferma che questa è la priorità fondamentale per il continente.

Nelle regioni asiatiche che sono riuscite a uscire dalla zona della crescita insufficiente a generare prosperità si osserva con chiarezza l’aumento, nel tempo del risparmio interno. La domanda, quindi, è: a che punto è arrivata l’Africa?
La risposta è composita. Lo stock complessivo di capitale che l’AFC ha contabilizzato vale 4 trilioni di dollari, che non è tanto, considerando l’estensione dell’Africa, ma non è nemmeno poco. Il problema semmai è che questo stock si distribuisce in maniera molto diseguale. Come per altri tipi di infrastrutture, l’Africa si divide fra chi ha qualcosa, o anche più di qualcosa, e chi non ha nulla. Se guardiamo ai fondi pensione e alle assicurazioni, il discorso risulta chiarissimo.

Se andiamo a guardare il sistema bancario, osserviamo che malgrado detenga complessivamente 2,5 trilioni di attivi, non riesce ad esprimere quella dimensione e quella profondità che servirebbero per finanziare lo sviluppo africano. Gli investitori istituzionali, che gestiscono 777 miliardi di dollari di asset, investono queste risorse in asset a basso rischio. Solo alcuni paesi, come la Nigeria e la Namibia, stanno cercando di modernizzare questo settore per venire incontro alle necessità d investimento infrastrutturale. Rimangono le banche pubbliche e i fondi sovrani, che gestiscono circa 400 miliardi di risorse, che però rimangono ampiamente sottoutilizzate.
Fra le voci che alimentano lo stock di capitale rimangono protagoniste le rimesse degli emigrati, che pesano circa 80-90 miliardi l’anno. Una quota di risorse importante, ma non certo sufficiente a far crescere adeguatamente lo stock di risparmio.

Di buono c’è che questi flussi sono più stabili degli investimenti diretti esteri (FDI) che oltre ad esprimere importi meno elevati sono più sensibili ai capricci della congiuntura internazionale.
Rimane ampiamente irrisolto un altro grande problema per il futuro dello sviluppo africano: quello dell’economia informale, che in alcune zone del continente è molto elevata.

Le stime parlano di un 40% di pil africano sommerso e addirittura l’80% dell’occupazione. Questo significa meno risorse fiscali, e quindi meno possibilità di promuovere politiche pubbliche di sviluppo. E questo ci conduce all’altra infrastruttura fondamentale per qualunque territorio che voglia crescere: quella statale. Anche qui il panorama è molto composito, con grandi differenze fra i vari territori. Rimane il fatto: se vuole crescere l’Africa dovrà imparare a camminare con le sue gambe. Quindi dovrà farsi anche i muscoli. Quattro trilioni sono un buon inizio. Adesso bisogna usarli.
