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Serve più domanda interna per rilanciare la crescita italiana

“Per il prossimo biennio, le prospettive dell’economia italiana descritte nel DPFP si confronteranno con un quadro di persistente incertezza sui mercati internazionali e saranno legate in modo più stringente all’evoluzione positiva della domanda interna, nella componente dei consumi privati e in quella degli investimenti”. Così, Stefano Menghinello, direttore Istat, ha concluso la sua lunga audizione parlamentare dedicata all’analisi del DPEF. Nessuna sorpresa. Chiunque segua le cronache dell’economia sa perfettamente che la debolezza della componente interna del Pil è il problema principale cui deve far fronte non solo l’Italia, ma l’intera Europa.
Gli ultimi dati, relativi all’andamento delle componenti del pil italiano presentati in commissione, mostrano chiaramente che il contributo dell’export netto alla crescita è sempre stato negativo negli ultimi sei trimestri, con l’eccezione del primo di quest’anno, quando il “fenomeno Trump” ha scatenato un’ondata di acquisti precauzionali. Poco più di un fuoco di paglia.
Che questo andamento sia qualcosa di più che un evento congiunturale, lo mostra chiaramente l’andamento del commercio europeo osservato dal 2008 in poi, che è tutt’altro che incoraggiante.

Ed è degno di nota che la spinta negativa sulla crescita del commercio si verifichi in presenza di un attivo commerciale, sempre presente salvo che nei mesi di boom dei prodotti energetici.

Questo significa in sostanza che l’andamento positivo del commercio, che è meglio ci sia ovviamente, non è di per sé garanzie di una crescita soddisfacente, capace di evitare uno dei problemi strutturali del nostro paese: l’effetto “palla di neve”. Ossia l’aumento del debito generato automaticamente dalla differenza fra il tasso di crescita dell’economia e il tasso di interesse che paghiamo in media sul debito pubblico.
Rilanciare la crescita, insomma, non significa solo avere maggiore produzione e più lavoro. Serve a stabilizzare la finanza pubblica, che ha di fronte scenari estremamente complicati a causa dell’invecchiamento della popolazione.
Su come si possa rilanciare la domanda interna, che porta con sé un concreto rischio che evapori il deficit commerciale, ci sono molte ricette, Ovviamente molto dipende dal livello dei redditi, ma non solo. Anche gli investimenti fanno la loro parte e su questo gioca un ruolo fondamentale anche il capitale umano. Ci sono molte ricette, ma non sono per nulla semplici da cucinare. Non è certo un caso se la nostra crescita è rasoterra da un ventennio, ad essere ottimisti.

Si tratta di rimettere in discussione un modello di sviluppo e di società. E non sembra che ne abbiamo la forza. Tantomeno l’interesse.
Un doppio problema per il pil italiano

Gli ultimi dati diffusi dal bollettino economico di Bankitalia ci consentono di osservare degli andamenti della nostra economia che generano alcuni riflessioni che può essere utile mettere sul tavolo. La prima cosa che si osserva è l’ampia discrepanza fra gli investimenti in costruzioni, che hanno risentito dell’effetto espansivo del superbonus (e stendiamo un velo sulle conseguenze indesiderate), e gli altri investimenti, che risultano in crescita molto modesta.
La seconda cosa che balza all’occhio è la convergenza delle due curve, dei consumi interni e delle esportazioni verso la media del pil. Detto diversamente, consumi ed esportazioni convergono verso la stagnazione. Ciò in ragione del fatto che i consumi crescono poco e le esportazioni crescono sempre meno. Gli andamenti sono più chiaramente visibili se osserviamo gli andamenti delle sue due grandezze separatamente.


I dati riportati non hanno bisogno di molti commenti. Nel corso dei mesi estivi la domanda estera netta ha contribuito negativamente al pil, in conseguenza del fatto che le importazioni sono risultate maggiori delle esportazioni, sia per i beni che per i servizi. E questo a sua volta dipende dal fatto che le famiglie, nel terzo trimestre, hanno irrobustito i loro consumi, che di per sé ha effetti espansivi sul pil, salvo che per il fatto che questo effetto si compensa perché molta di questa domanda genera importazioni.
Vale la pena sottolineare questo aspetto, quando si parla delle necessità di stimolare la domanda. Perché la domanda non si cura della provenienza dei beni. E a meno che non si sogni un mondo autarchico è bene ricordare che una domanda forte sviluppa il pil nella misura in cui più che compensa il contributo di un export netto negativo. Il caso degli Usa, dove una domanda gagliarda genera un forte deficit commerciale, è qui a ricordarcelo.
Ricapitolando: l’Italia ha il problema che non riesce ad esprimere una domanda forte abbastanza da compensare gli effetti negativi che tale domanda genera sugli scambi commerciali, che al momento sono l’unica cosa che tengono in piedi il nostro saldo corrente della bilancia dei pagamenti, che infatti tende a ridursi.

Al tempo stesso la crescita del reddito disponibile lordo, che si è osservata nell’ultimo trimestre, non è servita ad alimentare la ripresa dei consumi, che Bankitalia stima più deboli nell’ultimo trimestre dell’anno.
Insomma, la situazione è alquanto complessa e dovrebbe scoraggiare chi pensa che i problemi economici si possano risolvere manipolando i termini di un’equazione macroeconomica. Serviranno pazienza, attenzione e tempo. Risorse notoriamente scarse.
