Etichettato: incertezza knightiana che significa

Benvenuti nel mondo della Grande Incertezza

Per sfuggire un momento all’ansia che un mondo impazzito sembra comunicarci ogni giorno dalle pagine dei suoi giornali – e tralasciamo il resto – proviamo una lettura capovolta dei fatti prendendo spunto da un recente post della Fed di S, Louis dedicato al grande picco di incertezza che le ultime decisioni dell’amministrazione statunitense hanno inflitto all’economia internazionale.

Da un punto di vista tecnico, il problema dell’incertezza viene associato, in questo momento storico, alla difficoltà di comprendere in che modo e in che entità la politica daziaria americana si riverbererà sugli aggregati economici. Il commercio è stato un grande volano di sviluppo, quindi ha tutte le possibilità di trasformarsi in un agente della recessione, una volta che siano state compromesse, per non dire pervertite, le sue ragioni.

Da questo punto di vista il picco di incertezza osservato dagli economisti della Fed non ha precedenti, recenti, come si può osservare dal grafico che illustra questo post. Se Trump voleva passare alla storia si può dire che ha raggiunto il suo obiettivo, anche se temo che non sia la storia economica il luogo dove il presidente Usa vuole piantare la sua effigie.

Senonché la parola incertezza custodisce molti significati e bene fanno gli autori del post a ricordare la distinzione, che risale a Frank Knight, economista dell’inizio del secolo scorso, che pubblicò un libro rimasto celebre dove distingueva fra rischio, che è una forma di incertezza misurabile, in quanto associato a una distribuzione di probabilità, e l’incertezza vera e propria, che si riferisce a eventi per i quali non abbiamo una unità di misura di riferimento. La domanda cosa succederà a causa dei dazi di Trump appartiene a questo tipo di incertezza, chiamata “incertezza knightiana”.

Il problema è che questo tipo di incertezza può essere insieme una cura e un veleno. Gli economisti provano da sempre a misurarla, impostando degli indici di volatilità. E nel tempo si è affermato l’indice EPU, che sta per Economic Policy Uncertainty, che è quello usato per il nostro grafico di apertura. Il problema è che se pure costruiamo un indice razionale per misurare l’incertezza, questo non vuol dire avere una conoscenza razionale delle sue conseguenze. Perché il brutto dell’incertezza è che proprio non abbiamo idea di quello che potrebbe succedere.

Quindi questo è anche il bello, a ben vedere. Ed è qui che entrano in gioco i meccanismo della previsione, che spesso abbiamo esplorato in questi anni sul nostro blog. Per come sono costruiti i modelli previsionali, i risultati tendono a sovrastimare il peso del passato, per la semplice ragione che è sulla base di quei dati che si costruiscono gli scenari futuri.

Per venire ai casi nostri, se usiamo i modelli di cui parla il post, la prima cosa che possiamo prevedere, stante un picco così elevato d incertezza, è la possibilità di una recessione. Questo risultato si confronta però con gli scenari fatti da previsioni di professione che ancora fino a febbraio scorso ipotizzavano un’economia Usa in crescita, anche se nel frattempo è aumentata la percentuale della probabilità di una recessione nei prossimi 12 mesi.

E’ sulla base di queste previsioni che noi ci formiamo un’opinione e quindi prendiamo le nostre decisioni. Per questo è molto facile generare quella famose “profezie che si auto-avverano”. Nell’età dell’incertezza, insomma, a fare la differenza è ciò in cui crediamo. E crediamo a ciò che più spesso vediamo succedere, che nel caso dell’immaginazione coincide con quello che vediamo scritto e ripetuto.

Da questo punto di vista, sarebbe consigliabile esporsi il meno possibile allo sciame sismico costante di informazioni, tutte più o meno allarmistiche, che sprigiona in ogni istante il nostro sistema. Dovremmo prenderci il tempo e godercela, questa incertezza. Potrebbe anche portare cose buone. Dipende anche da noi.