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Cartolina. Vendesi casa disperatamente

Son tempi magri per chi vuol vendere casa. Il crollo delle transazioni certificato da Ocse, con la notevole eccezione del Giappone, ci racconta di una bolla gonfiata dai soldi facili che molto rapidamente si sgonfia, e speriamo senza fare troppi danni, adesso che i soldi sono tornati difficili. Niente di nuovo. Lo abbiamo visto talmente tante volte che non dovremmo neanche stupirci. Parlarne serve semmai a ricordare che dietro un grafico, un dato semplice come quello che racconta di un mercato in affanno, ci stanno delle persone, che magari hanno comprato casa quando i soldi erano facili e adesso provano a vendere perché la rata del mutuo è diventata insostenibile. O, al livello più strutturato, fondi immobiliari a leva che si trovano improvvisamente con i patrimoni congelati. Non è un bel vivere quando si vende casa disperatamente. E i compratori lo sanno.

La globalizzazione è una cura per l’inflazione (e la crescita) ma serve tempo

Leggere l’ultimo Interim report rilasciato da Ocse conferma quello che molti di noi già sospettavano: dobbiamo tenere duro almeno un paio d’anni e intanto provare a mettere in campo alcuni cambiamenti nella struttura economica, interna ed internazionale, che purtroppo richiedono assai più che un paio d’anni per essere efficaci. Detto diversamente: abbiamo un problema di orizzonte temporale. Quindi di tempo.

Il tempo delle previsioni, che è quello a cui fa riferimento Ocse, con le sue utilissime tabelle e grafici, è molto diverso dal tempo reale che costruisce il nostro futuro e che non siamo più in grado di comprendere quanto ai suoi esiti.

Un esempio basterà a chiarire. Ocse scrive che l’inflazione di fondo nelle economie del G20 dovrebbe passare dal 4,3 per cento del 2023 al 2,8 del prossimo anno, che comunque sta sopra i target di molte banche centrali, mentre la crescita globale dovrebbe rallentare dal 3 per cento di quest’anno al 2,7 per cento del prossimo. Nessuna recessione, quindi, ma un graduale rallentamento dell’economia, che peraltro potrebbe peggiore drasticamente qualora intervengano altri fattori. Segnatamente un peggioramento dell’inflazione, o una caduta più ampia del previsto del pil cinese.

Al tempo stesso Ocse scrive che la politica monetaria deve rimanere restrittiva finché non si osservino chiari segnali di rallentamento dell’inflazione di fondo (core). Ma soprattutto che i governi devono recuperare spazi fiscali erosi da diversi fattori, non ultimo (se ne accorto anche il nostro governo) dall’aumento dei tassi che fa crescere il costo del servizio del debito. Facile a dirsi. Ma farlo è un altro paio di maniche, e soprattutto non c’è alcuna indicazione sul tempo entro il quale questa azione dovrebbe svolgersi.

Non finisce qui. “Una priorità chiave – scrive ancora Ocse – è rinvigorire il commercio globale, che è una importante fonte di prosperità a lungo termine”. Ecco il tempo: nel lungo termine, speriamo prima di esser morti, il commercio ci può aiutare a star meglio, ma quanto tempo serve per realizzare questa priorità?

Le previsioni di questo non parlano. E ancor meno di quanto tempo servirebbe, e tralasciamo il come fare, per “ridurre le barriere nei mercati del lavoro e dei prodotti”, per “migliorare gli skill che sviluppano la produttività e la partecipazione al lavoro” e, dulcis in fundo, per “migliorare la cooperazione per accelerare gli sforzi per la mitigazione delle emissioni”.

Tentiamo una sintesi. Ocse ci sta dicendo in pratica che serve più globalizzazione per stabilizzare la crescita e quindi l’inflazione. Ma non è in grado – nessuno lo è – di indicarci i tempi (e sorvoliamo sui modi) entro i quali sarebbe necessario attivare questi processi. Ci consegna solo dei numeri probabili sul futuro. Sicché tutti guardano il dito, ma nessuno la direzione. E quindi si rischia di sbagliare strada. O, peggio, di sbattere contro un muro.