Etichettato: italia creditrice
I soldi delle famiglie italiane emigrano all’estero
Un bel grafico contenuto nell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato da Bankitalia ci racconta meglio di mille parole cosa sia accaduto fra il 2011 e il 2016 ai flussi finanziari che entrano ed escono dal nostro paese e che vengono fotografati da Target 2, ossia il sistema contabile dell’eurozona che registra i movimenti di fondi fra le banche centrali dell’Eurosistema, a loro volta riflesso delle decisioni di consumo e di investimento degli operatori nazionali rispetto all’estero. Per farvela semplice, se comprate un titolo estero Bankitalia regola con moneta di banca centrale il pagamento sull’estero, che diventa per lei una passività mentre viene iscritta come attività dalla banca centrale che lo riceve.
Il saldo Target, raccogliendo l’insieme degli afflussi e dei deflussi fra le banche centrali dell’Eurosistema, ci racconta come si stia evolvendo la nostra posizione estera, quindi se siano entrati più soldi di quanti ne siano usciti o il contrario. E’ opportuno sottolineare che avere un saldo negativo non vuol dire necessariamente che qualcosa stia andando storto. Molto dipende dalle singole componenti che determinano il saldo.
Veniamo al nostro grafico.Da inizio del 2016 il saldo Target 2 relativo a Bankitalia, quindi in sostanza al nostro Paese, è peggiorato di 100 miliardi, raggiungendo a fine ottobre un deficit di 355 miliardi, persino più elevato rispetto a quello di quasi 300 miliardi raggiunto nel picco della crisi dell’euro fra il 2011 e il 2012. Ma, come dicevo prima, il fatto che il saldo sia peggiorato non vuol dire automaticamente che il paese stia peggio di come stava a fine 2011. Oggi anzi stiamo decisamente meglio. E tuttavia l’informazione è rilevante se si osservano le componenti del saldo.
A differenza del 2011 – differenza non da poco – l’Italia oggi ha un attivo crescente di conto corrente (l’istogramma viola del grafico) che all’epoca era un deficit, che compensa anche il graduale calo di investimenti esteri in titoli italiani (istogramma rosso) iniziato a metà del 2015. Questi attivi di conto corrente uniti agli investimenti esteri stanno sopra la linea dello zero, rappresentando afflussi di denaro in Italia e quindi crediti di Bankitalia verso le consorelle dell’eurosistema. E’ interessante osservare che fra il 2011 e la fine del 2014, sopra la linea dello zero ci stavano anche gli investimenti italiani in titoli esteri. Ossia, i nostri compatrioti vendevano titoli esteri e quindi generavano afflussi di fondi in Italia.
Ed è proprio questa componente che segna l’evoluzione più interessante. L’avevamo già osservato in passato, ma adesso il trend è più che consolidato: le famiglie italiane stanno portando una quota crescente dei propri fondi all’estero (istogramma azzurro). A ottobre del 2016 tale quota sfiora i 200 miliardi. “L’ampliamento del saldo – sottolinea Bankitalia – ha riflesso soprattutto il ribilanciamento di portafoglio delle famiglie italiane verso fondi comuni e titoli esteri – sia direttamente sia indirettamente attraverso prodotti di risparmio gestito – nonché la diminuzione della raccolta sull’estero delle banche italiane”. Si potrebbe discorrere a lungo sulla curiosa circostanza per la quale durante una crisi i soldi rientrano per riuscire quando la crisi si ritiene superata. Ma è più utile sottolineare altre informazioni.
La prima è che insieme agli investimenti su titoli esteri, gli italiani hanno aumentato anche gli investimenti diretti (istogramma arancione). Poi che ci sono stati moderati deflussi originati dalla vendita di titoli di stato dall’estero (istogramma blu), e soprattutto è crollata la raccolta estera delle banche italiane (istogramma verde), che pesa poco meno degli investimenti di portafoglio delle famiglie e che è rimasta all’incirca stabile dal 2012, ossia da quando le banche hanno iniziato a soffrire.
L’analisi del saldo, insomma, ci comunica diverse cose, la più rilevante delle quali è che l’Italia creditrice è all’origine dello sbilancio del nostro saldo target. Se gli italiani investissero in Italia, un paese che ha un deficit di investimenti del 30% rispetto al 2007, non avremmo sbilanci Target e magari avremmo un po’ più di crescita. Questo almeno suggerisce la teoria. In pratica però nessuno può saperlo.
L’Italia che cambia verso è quella creditrice (e punta sull’estero)
Se gli italiani fossero stranieri avremmo 60 miliardi di debiti in più, che però sarebbero più che compensati, se gli stranieri fossero italiani, dai 150 miliardi in più di crediti. Invece viviamo la situazione curiosa per la quale gli italiani non si fidano a prestare soldi all’Italia, e li portano all’estero, mentre gli stranieri fanno affluire capitali sulle nostre obbligazioni: dovremmo naturalizzarli.
Faccio davvero fatica a capire chi, fra noi e loro, sia il furbo e chi il fesso.
Fatto sta che le seduzione estere degli italiani creditori, ossia detentori di denaro da investire, hanno cumulato all’estero investimenti di portafoglio per quasi 60 miliardi ad agosto, a fronte dei quali sono affluiti 150 miliardi dall’estero. Questo ci dice l’analisi dei flussi sul conto finanziario della bilancia dei pagamenti, al lordo quindi degli aggiustamenti di valutazione, ossia della correzione degli stock di titoli provocate dal cambiamento di valutazione di mercato dei titoli.
La circostanza poco commendevole è che i profitti che l’Italia incassa sui miliardi investiti vanno a coloro i quali li hanno investiti. Mentre il costo del servizio sui debiti sui 150 che sono affluiti vanno praticamente a carico della collettività e per giunta espatriano. In tal senso la meravigliosa libertà di muovere i capitali legittima la regola aurea del capitalismo secondo la quale si privatizzano gli utili e si socializzano le perdite.
Prima di essere accusato di pericoloso revanscismo, dico subito che non ho nulla in contrario alla libera circolazione dei capitali. Sono contrariato però dalla circostanza che difficilmente se ne illustrino, facendo i semplici conti della serva, le conseguenze.
I più scafati le conseguenze sanno già che devono andarsele a vedere sulla voce redditi primari della bilancia dei pagamenti, dove viene esibito il saldo dei pagamenti che l’Italia riceve dall’estero per i suoi investimenti, di portafoglio o diretti, e quelli che l’Italia paga all’estero per gli investimenti che gli stranieri fanno sul nostro territorio. Nel nostro paese tale saldo è costantemente negativo.
Quello che il saldo non dice, ma che però possiamo leggere sulle tabelle della bilancia dei pagamenti – prendo riferimento i dati Bankitalia di agosto pubblicati di recente – è che nei dodici mesi cumulati ad agosto 2014 sono entrati in Italia redditi primari per 57,557 miliardi, mentre abbiamo pagato interessi sui debiti per quasi 62. Ciò vuol dire che i nostri rentier hanno incassato oltre 57 miliardi, mentre la collettività, stante la quota preponderante di titoli del debito pubblico fra gli investimenti esteri di portafoglio, si è dovuta fare carico di pagarne 62 ai rentier esteri.
Eccolo qui un altro che odia i ricchi, penserete. Proprio per nulla, e anzi: buon per loro. L’unica cosa che ho in odio è l’ipocrisia.
La libera circolazione dei capitali, infatti, si basa su un presupposto che i manuali di economia si peritano di non illustrare con la necessaria dovizia di particolari: ossia che l’internazionalismo finanziario, pressuposto per la gestione efficiente del capitale (ossia più profittevole), porta con sé un evidente presupposto politico: il capitale deve infischiarsene della sovranità statale. Deve solo procurare rendimenti. E poi ci stupiamo che gli stati siano in disgrazia.
Conosco, per dire, sovranisti sfegatati, di quelli che dicono che dobbiamo uscire dall’euro o addirittura dall’Ue, che non si fanno il minimo imbarazzo a portare i soldi in Svizzera o in Germania. E neanche si rendono conto quanto ciò sia paradossale.
Sorvolo e torno ai dati, che di sicuro sono più interessanti delle mie astruse riflessioni.
E la prima cosa che noto scrutando le curve disegnate dalla Banca d’Italia è che davvero l’Italia ha cambiato verso. Ma non tutta l’Italia: solo quella creditrice.
Il dato parla chiaro: intorno alla metà del 2012 avevamo un saldo netto per gli investimenti di portafoglio attivo per 90 miliardi. Ad agosto 2014 il saldo è diventato negativo per la stessa cifra.
Avere un saldo attivo vuol dire sostanzialmente che abbiamo meno debiti con l’estero. Gli acquisti di titoli italiani dall’estero, in quel periodo, erano fortemente diminuiti (oltre 150 miliardi in meno nella metà del 2012, quindi meno debito). Al contempo gli italiani avevano fatto rientrare in Italia dall’estero circa 60 miliardi di investimenti di portafoglio, quindi avevamo meno crediti esteri. Così arriviamo al saldo attivo di 90 miliardi, che corrispondendo a un minor debito equivalente, ha abbassato il deficit della posizione patrimoniale netta, che infatti in quel periodo era intorno al 25% del Pil.
Da quel momento in poi inizia il cambiamento di verso. Il saldo era già zero negli ultimi mesi del 2012, quando i deflussi esteri e gli afflussi di risorse italiane dall’estero si sono pareggiati. E da quel momento in poi il saldo ha iniziato a sprofondare, fino al picco di 90 miliardi di deficit raggiunto nel secondo trimestre 2013.
In quel momento è accaduto che l’estero è tornato a comprare obbligazioni italiane, e gli italiani hanno continuato a vendere attività estere. Quindi il debito estero è aumentato. Infatti la posizione patrimoniale netta peggiora e diventa negativa per quasi il 30% del Pil.
Fra il maggio del 2013 e la fine dell’anno, c’è l’ennesimo cambiamento di verso. La vendita di attivi italiani all’estero diminuisce fino a cessare del tutto intorno a ottobre e si trasforma in acquisti di attivi esteri, mentre gli afflussi di capitale estero aumentano. Il saldo alla fine dell’anno punta verso lo zero e la posizione netta di nuovo verso un deficit del 25%.
L’ultimo cambiamento di verso è tutto interno al 2014. Gli italiani tornano a comprare attivi esteri a mani basse, come era successo per tutto il 2010 (epoca del terrore, lo ricorderete), e intanto l’estero aumenta la sua esposizione verso di noi. Insomma, gli italiani che hanno i soldi hanno paura (o poca convenienza) a tenere i capitali in casa, mentre gli stranieri non riescono a smettere di prestarceli. Sicché la posizione netta peggiora ancora, superando il deficit del 30% del Pil. Osservo che gli italiani aumentano i loro acquisti all’estero senza sosta ormai dal mese di maggio.
Il ragionamento cambia poco se andiamo a vedere gli investimenti diretti, che se vogliamo sono ancora più un’indicazione della fiducia di lungo termine, visto che è facile vendere un’obbligazione e più difficile smobilitare una fabbrica.
Evito di farvi perdere ulteriore tempo e vengo al punto. Gli investimenti diretti italiani all’estero, pur se lontani dai picchi del 2009, quando pesavano fino a 80 miliardi, lungo il 2014 hanno quotato flussi per circa 15-20 miliardi, più o meno equivalenti agli investimenti diretti esteri in Italia e infatti il saldo è vicino a zero. Nel 2008, per dire, era attivo per oltre 60 miliardi.
Da qualunque lato la si veda, perciò, l’Italia creditrice, pure coi suoi cambiamenti di verso, non ha mai smesso di investire.
All’estero però.
