Etichettato: quanto investe l’europa

Domanda debole e scarsa innovazione fanno crollare gli investimenti europei

Pure all’apice del successo, il flusso degli investimenti europei non ha superato una crescita dell’8% su base trimestrale, mentre se guardiamo il periodo fra il quarto trimestre del 2021 il quarto trimestre del 2024, arriviamo a una crescita complessiva del 6,8%, che si confronta con quello, più che doppio (15,4%) osservato negli Stati Uniti.

Si conferma, insomma, l’ampia divergenza fra le due economie, che poi si riflette anche sui tassi di crescita ben diversi. Ma non solo. Gli investimenti Usa non sono solo più abbondanti, hanno anche caratteristiche molto diverse da quelli europei. Gli Usa, infatti, primeggiano negli investimenti immateriali, quindi i prodotti di proprietà intellettuale, mentre gli investimenti europei della stessa categoria arrivano a stento alla metà.

L’Europa, quindi, ha un duplice problema sul lato degli investimenti: la loro quantità e la loro qualità. Quanto alla prima, la Bce, che al tema ha dedicato un approfondimento nel suo ultimo Bollettino economico, ipotizza che molto di questa lentezza, che la ripresa post Covid è riuscita solo in parte a contrastare, dipenda dalla debolezza della domanda europea. “Dall’inizio del 2022 la domanda interna di beni, una determinante fondamentale degli investimenti materiali in macchinari e attrezzature inclusi i trasporti, è stata notevolmente più modesta nell’area dell’euro”, scrive la Banca. Un problema annoso, che è alla base della lentezza della crescita economica nell’Europa mentre è la ragione della robustezza di quella statunitense, e, di conseguenza del suo deficit commerciale, che si riflette nel surplus europeo.

Domanda europea lenta, quindi, che ha fatto crollare l’utilizzo della capacità produttiva, peraltro carente nei settori più innovativi. A ciò si aggiunga che la fiducia nella regione europea non brilla anche a causa dell’incertezza crescente.

Dulcis in fundo, “un significativo differenziale di investimenti immateriali, relativo alla spesa per innovazione e per ricerca e sviluppo (R&S), che contribuisce ad ampliare il divario di produttività tra l’UE e gli Stati Uniti”. Negli Usa infatti, secondo un’analisi svolta dalla BEI “gli investimenti delle imprese statunitensi tendono inoltre a concentrarsi maggiormente sull’innovazione rispetto a quelli delle imprese dell’UE”, dove si investe per lo più in settori maturi (autoveicoli e attrezzatura) mentre negli Usa si punta su TLC, data center, IA.

Le imprese dal canto loro, oggetto di una survey specifica, lamentano difficoltà relativa al reperimento di personale qualificato, alti costi energetici, regolamentazione onerosa quali motivi di questa ritrosia a investire.

Ma probabilmente questo spiega solo una parte dei problemi. La Bce ha messo a confronto i 750 miliardi di euro messi a disposizione dal Next Generation Ue con gli 835 miliardi stazione dal governo Usa con l’Inflation Reduction Act (IRA) e il CHIPS and Science Act. Viene fuori che mentre in Europa i fondi, che pure dovevano essere usati per la transizione digitale e verde hanno avuto un “utilizzo molto graduale e ritardato”, negli Usa “tali programmi hanno già fornito una grande spinta agli investimenti privati”.

I problemi dell’Europa sono profondi, insomma. E chi pensa di risolverli iniettando soldi nel sistema dovrebbe ricordarlo. Specie adesso che si parla di investire massicciamente sulla difesa. Si rischia di fare tanto rumore per nulla.