Cosa succede ai redditi dei più poveri se aumenta l’Iva?

L’aumento dell’Iva, che tutti dicono di voler evitare, per il momento sta scritto sull’ultima legge di bilancio che, come le altre precedenti, ha rimandato il problema all’anno prossimo, ma peggiorandolo. Le aliquote dell’aumento, infatti, sono state aumentate per evidenti ragioni di coerenza contabile, portando così le previsioni di gettito, dopo l’attivazione delle clausole di salvaguardia, a 22,7 miliardi nel 2020 e 28,4 miliardi nel 2021, ai quali sommare altri 400 milioni per le accise, rispettivamente 3,9 e 9,2 miliardi in più rispetto a quanto previsto dalla legge precedente.

Il confronto fra le vecchie e le nuove aliquote correlate all’attivazione delle clausole si può osservare agevolmente nel grafico sotto estratto dalla relazione annuale di Bankitalia, che ospita anche una simulazione assai utile per comprendere gli effetti macroeconomici e soprattutto distributivi di un eventuale aumento dell’Iva.

Come si può osservare, rimandare ha sempre un costo, specie se nel frattempo si aumentano anche le spese. La conseguenza è che il governo dovrà trovare il modo per disinnescare la bomba che ha acceso e non sarà per niente facile, vista l’entità delle cifre in gioco e i proclami che ancora oggi annunciano nuove spese, sotto forma di taglio delle tasse e chissà cos’altro. E’ saggio perciò provare a capire cosa potrebbe succedere se questa bomba dovesse scoppiare.

Nello sviluppo della sua simulazione Bankitalia distingue il caso di un pass-through ordinario, ossia di una traslazione dell’effetto Iva pari a circa l’80% in due anni, da un effetto ridotto, quindi più ritardato e diluito nel tempo degli aumenti. In ogni caso, gli effetti macroeconomici sarebbero rilevanti.

Sul lato redistributivo la premessa è che la simulazione dell’effetto del rialzo dell’Iva impatti completamente sui prezzi dei beni e che le scelte di consumo delle famiglie rimangano stabili, senza osservare invece gli effetti indiretti sui salari, i redditi o l’occupazione dell’incremento delle imposte. “Sotto tali ipotesi – sottolinea – l’aggravio dell’IVA determinerebbe nel breve periodo un incremento della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi netti familiari equivalenti”. L’indice di Gini, che serve a misurare la diseguaglianza, aumenterebbe dello 0,2% portandosi al 32,4. “In particolare per le famiglie appartenenti al primo decimo della distribuzione il reddito netto diminuirebbe di circa l’1,5 per cento, mentre per quelle appartenenti all’ultimo decimo la flessione risulterebbe dello 0,7 per cento”. In sostanza il grosso del’aggravio verrebbe sopportato dalle fasce deboli della popolazione. Un effetto che però viene mitigato dall’adozione del reddito di cittadinanza, anche se non tutti i poveri ne hanno diritto.

La simulazione corretta per il reddito di cittadinanza conduce al grafico sotto, che esamina i due effetti congiuntamente.

In sostanza, il combinato disposto di Rdc e Iva condurrebbe in media a una “significativa crescita del reddito netto per il primo decimo della distribuzione dei redditi lordi; tale effetto si annullerebbe per il secondo decimo e diverrebbe negativo per i successivi”. Notate che il peggioramento è inversamente proporzionale al livello di reddito, com’è logico che sia. I più poveri avrebbero un maggior sollievo grazie al sussidio, ma sempre ricordando che fra costoro “sono presenti nuclei familiari che, non beneficiando dell’RdC, sarebbero comunque svantaggiati dall’incremento dell’IVA”. E questo spiega perché il governo dica che vuole evitare l’aumento Iva. Che è cosa diversa da dire che riesca.

 

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