Crisi e crescita non colpiscono tutti i settori nello stesso modo
Sembra una banalità ricordarlo, ma vale la pena correre il rischio, specie oggi che si evocano sconquassi precedenti per spiegare quello attuale: l’economia di un paese non è un monolite, ma una somma di parti, a cominciare dai singoli individui, ognuna delle quali reagisce a suo modo alle sollecitazioni della congiuntura.
Vale la pena correrlo, questo rischio, anche perché decenni di semplificazioni macroeconomiche, culminate nell’elaborazione di indici che sembrano dicano tutto mentre così non è – vedi il Pil – potrebbero generare l’equivoco che un sistema economico si muova all’unisono e in maniera unidirezionale, quando invece è vero il contrario. Anche oggi, che le produzioni di mezzo mondo sono sconquassate dall’emergenza sanitaria, è bene sottolineare che non tutti patiscono allo stesso modo e ci sono settori che addirittura se la passano meglio di prima proprio in ragione della crisi.
Questa evidenza ce la ricorda una elaborazione svolta dalla Fed di St Louis dove non solo si osservano le differenti reazioni regionali al ciclo economico – che dovrebbero essere conoscenza ormai comune nel paese della questione meridionale – ma anche quelle settoriali, che invece tendono a finire in ombra, malgrado anch’esse in una qualche maniera paghino dazio alla geografia.
“Certe industrie – scrivono gli autori della ricerca – sono più sensibili all’espansione economica o alla recessione”. Banalità, certo. Ma meglio ricordarle. E sottolineare anche il profondo legame che questi diversi andamenti finiscono con l’avere con l’occupazione e con i suoi andamenti regionali. La Fed fa l’esempio del Texas, dove il settore energetico esprime un elevato livello occupazionale e quindi questo stato reagisce peggio di altri, a livello occupazione, agli shock del prezzo del petrolio. Oppure alcune aree della California, dove è molto sviluppato il settore hi tech che hanno subito gravi shock occupazionali all’epoca dello scoppio della bolla della dot com, che invece ha lasciato indisturbate altre aree della California come Riverside e Sacramento.
Le ricognizioni della Fed hanno condotto all’elaborazione della tabella sotto, che per quanto focalizzata sugli Usa può fornire utili indicazioni anche a noi.
La tabella è frutto di osservazioni condotte fra il 1990 e il 2019. Le industrie i cui livelli di occupazione fluttuano più del pil sono più “sensibili”. Ad esempio il settore delle costruzioni: quando il pil cresce dell’1%, l’occupazione aumenta dell’1,4. Al contrario, l’occupazione del governo cresce solo dello 0,1.
Ciò per dire che quando parliamo di crescita e occupazione come se fossero un tutt’uno e su questo imbastiamo ragionamenti, rischiamo di generare grossi equivoci. E fossimo solo noi pazienza. Il problema è che lo fanno anche i governi.