Il peccato monetario del XXI secolo

Il peccato monetario dell’Occidente (e della sua succursale giapponese), che diede già il titolo a un celebre libro di Jacques Rueff del 1972 trova nel nostro tempo una riedizione in ciò che è accaduto agli albori del nuovo secolo, il XXI.

E’ proprio dai primi anni 2000 che si consolida, a cominciare dagli Stati Uniti, la pratica del denaro a basso costo che poi si contagia al resto del mondo come una malattia benigna.

Salvo poi scoprire, oggi, l’effetto nefasto che ciò ha comportato sulle nostre economie, ormai infestate da montagne di capitale fittizio che nomina decine di trilioni di debiti sostanzialmente irredimibili, che mai sarebbero stati sottoscritti, o almeno non in queste dimensioni, se non fosse stato così facile ed economico accenderli.

Il peccato monetario del XXI secolo, proprio come quello descritto esemplarmente da Rueff e del quale è un ideale proseguimento, ci dice molto della tendenza delle economie avanzate a evitare il momento del rendiconto – il redde rationem – ma al contempo lo individua come inevitabile.

La logica dell’interesse composto e della produzione monetaria ad libitum, combinandosi insieme, conducono inevitabilmente all’esito contemporaneo. Specie in assenza di una qualunque forma di responsabilità. Il peccatore difficilmente si redime, a meno di illuminanti rivelazioni, di sua iniziativa.

L’unico vantaggio è che il peccato monetario, in quanto declinazione del peccato più profondo dell’Occidente, ossia la riduzione dell’essere all’economico, si può rappresentare in un grafico cartesiano come quello che molto gentilmente ci ha messo a disposizione Hervé Hannoun, vice direttore generale della Bis nel suo recente intervento (“Central Bank and the global debt overhang”).

Leggendolo scopro un’altra attitudine dell’Occidente e della sua succursale giapponese, che ormai seduce anche la Cina: il non voler pagare il costo delle proprie decisioni che, volenti o no, hanno evidenti conseguenze.

Per non affrontare anni fa la deflazione che sarebbe stata necessaria per compensare l’eccesso di risparmio dei creditori, e quindi l’eccesso di consumi dei debitori, le banche centrali hanno fatto sprofondare i tassi reali. Ma ciò che hanno ottenuto è nulla: i debiti sono aumentati, i creditori di prima sono rimasti tali e anche i debitori. E il tempo della deflazione è tornato.

Ma prima di dire oltre è meglio che vi illustri questo grafico che parla la lingua oggettiva della matematica, e quindi è elusivo abbastanza da non dire la cosa fondamentale. Ossia che prima o poi i peccati si scontano. E quelli monetari con lo svantaggio che si scontano a interesse composto.

La storia di questi ultimi trent’anni, trascorsi all’ombra di quello che il banchiere chiama debt-driven growth model, ossia crescita a debito, mostra che agli albori, intorno al 1986 i paesi del G7 avevano un debito totale di circa 20 trilioni di euro e i tassi di interesse reali erano poco sopra il 4%. Oggi il debito totale quota intorno ai 100 trilioni e i tassi sono in territorio negativo. Basterebbe questo a chiudere il discorso.

Ma giova approfondire. Il banchiere della Bis, infatti, illustra in un altro grafico lo stato attuale dei tassi e quello che avrebbe dovuto essere solo che si fosse applicata una delle regole auree del central banking, ossia la Taylor rule, un algoritmo che quota il livello ottimale dei tassi sulla base di alcune variabili macroeconomiche.

Se prendiamo in esame il mondo globale, si osserva con chiarezza che i tassi di interesse effettivi e quelli derivanti dalla regola di Taylor camminano sostanzialmente appaiati dal 1996 fino all’inizio del XXI secolo quando iniziano significativamente a divaricarsi. Fra il 2002 e il 2007, quando l’eccesso di debito esplose nel mondo, se le banche centrali avessero applicato la Taylor rule avremmo dovuto avere tassi medi nell’ordine dell’8-9%, a fronte dei quali i tassi effettivi quotavano intorno al 3%.

Nei paesi avanzati tale spread pesa 2-3 punti, leggermente di più nei paesi emergenti, come d’altronde è più ampia la differenza fra i due tassi che, in applicazione della regola, avrebbero dovuto arrivare nei paesi periferici fino al 10%.

L’unico momento in cui i due tassi si toccano è il 2009-10, quando i tassi vengono bruscamente ribassati, fino a zero nei paesi avanzati, dove sono rimasti senza risalire come la regola di Taylor avrebbe prescritto. Col risultato che nei paesi avanzati, secondo la regola di Taylor, oggi dovrebbero essere poco sotto il 2%, anziché trovarsi in territorio negativo.

Cosa sarebbe successo se le banche centrali avessero obbedito ai loro algoritmi? Facile: deflazione e disindebitamento forzato in stile anni ’30, ossia ciò che tutti volevano evitare.

Il fatto che se ne riparli oggi, del rischio di ricadere nella deflazione, vuol dire solo che la cheap money non è la soluzione.

E’ il problema.

 

 

Un Commento

  1. Jean-Charles

    Nel 2014, con 0.5 % d’inflazione, -0.5% di crescita del PIL in volume ed un tasso d’interesse medio di circa 3.5-4%, il debito pubblico italiano di circa 2100 miliardi sarà costato circa 80 miliardi. 2100x(3.75+0.5-0.5)/100=78.75 miliardi

    Dopo 6-7 anni nel 2020, ossia la scadenza media di tutto il debito italiano, con 1% di inflazione , 1% di crescita ed un tasso d’interesse in aumento al 5% per esempio, lo stesso debito costerebbe circa 20 miliardi di meno ossia circa 60 miliardi. 2100x(5-1-1)/100

    20 miliardi disponibili per la spesa e il rilancio dell’economia.

    Senza crescita ne inflazione, il tasso d’interesse deve trovarsi al più basso grazie a tassi di 0% della BCE e provvigioni bancarie sufficienti su debitori privati a rischio.

    Ma la finanza speculativa necessita e crea tsunami.

    Tobin or not to be.

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      lei ha ragione quando dice che siamo nella condizioni di dover sopportare tassi bassi per rendere i debiti sostenibili, stante la fiacchezza dell’inflazione e della crescita. ma le conseguenze del peccato monetario sono state proprio la scarsa inflazione e la deludente crescita. come vede è un circolo vizioso.
      tobin o not to be è davvero scespiriano 🙂
      grazie per il commento

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    • Fla

      Buongiorno. Noi però stiamo cadendo in deflazione, e siamo senza crescita, anzi, descresciamo. Mettiamo sempre rendimento 5%, ma deflazione (ad es. -0,5%) e decrescita (quindi -0,5%), il calcolo diventa 2100x(3–0,5–0,5)/100=2100×4/100= 84 miliardi. 6 miliardi in più.

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      • Fla

        Grazie a Lei per i preziosi spunti che regala ai lettori. Come ben dice Caruana nel suo penultimo post, in quest’ultimo quarantennio si è pensato che, tagliando reddito, il surrogato potesse essere il debito. Ma senza reddito, non c’è debito, e tantomento domanda, che tenga. E fino a prova contraria produzione ed investimenti, se non c’è domanda, stanno a zero. Ma la domanda genera inflazione, la peste nera per i creditori che si aggirano per il mondo a caccia di rendimenti. Bisogna scegliere. E credo che chi “conta”, come dimostrano i fatti, tenga di più ai rendimenti. Ahinoi.

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      • Maurizio Sgroi

        salve,
        capisco il suo punto di vista, ma per come la vedo io, ci siamo infilati in una trappola assai più pervasiva e invadente della semplice trappola del debito, che pure ci sta stritolando. La trappola è quella che ci fa pensare che ciò che l’ha determinata, ossia la logica dell’economia come la conosciamo, debba tirarcene fuori, che è come dire che bisogna disintossicarsi dagli stupefacenti facendo uso di droghe.
        Io credo al contrario che dobbiamo ripensare l’economia, introdurvi nuovi concetti come il dono, che in fondo significa mettere in discussione innanzitutto noi stessi, ossia il nostro ego, a cominciare dal presupposto che lo scopo della vita sia avere un reddito, consumare o fare investimenti, che se guarda bene scoprirà essere basati sullo stesso principio, ossia la massimizzazione dell’utile personale. Quando invece un’economia sana dovrebbe basarsi su ben altro.
        le parrà filosofico, ma l’economia nasce dalla filosofia e lì deve ritornare se vuole avere un senso diverso dalla contabilità. Queste sono le uniche riforme strutturali che dovremmo fare, ma di cui nessuno, purtroppo (a parte me e pochi altri che siamo voci nel deserto) parla.
        grazie per il commento e per l’attenzione

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      • Fla

        Che dire… concordo su tutto. Che l’economia sia in qualche modo legata alla filosofia, e che i suoi fini siano diversi dal solo guadagno, rispecchia fondalmente l’assunto che, spesso, ripeto: l’economia al servizio per l’uomo, non l’uomo al servizio dell’economia. In ogni caso credo che la soluzione stia a metà, cioè reddito per una vita dignitosa, investimenti e produzione al servizio del benessere delle persone. Credo suoni già diverso così… Sul fatto che si usino strumenti sbagliati per uscire dall’attuale depressione, beh, è assodato.
        Ad esempio in Italia si propina ancora il detto che i tagli, dopo 30 anni di tagli, siano la salvezza del nostro paese… e poi ci si meraviglia che la produzione cala del 3%… In ogni caso grazie per l’attenzione e per il suo lavoro.

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  2. renzo

    Sono molto pessimista sulla possibilità di un cambiamento positivo.E’ vero che non possiamo prevedere mai se le società, poste di fronte a scelte imperative, in seguito ad una specie di redde rationem sistemico, non possano trovare eventualmente delle soluzioni inaspettate e consone ad uno spirito di maggiore “civiltà”.Ma dalla mia osservazione anche spicciola e quotidiana non riesco a intravedere la possibilità del mutamento quasi antropologico che lei sembra presupporre, per come interpreto le sue parole.

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      si dice che i pessimisti siano persone bene informate. io credo che sia vero, ma attenzione: essere bene informato non significa sapere tutto. perciò forse il pessimista è una persona bene informata che però ignora qualcosa.
      In questa ignoranza si annida il seme della speranza, che il pessimista tende di conseguenza a trascurare e che, come la fede e la carità, dovrebbe essere una di quelle virtù che fanno dell’uomo l’essere meraviglioso che è, solo se lo ricorda.
      Quindi forse il pessimista è una persona bene informata, ma smemorata, che ha smarrito ciò che appartiene alla sapienza originaria dell’essere uomo: il fatto che accanto a ognuno di noi ci sia sempre un altro, e che quindi è più probabile essere felici se, oltre a me, anche il mio vicino lo è. questo concetto ha enormi ricadute economiche, se ci pensa bene, e spiega perché mi ostini a occuparmi di questa arida disciplina che però poi ci porta a parlare di altro, com’è giusto che sia. credo che questo sia l’unico blog al mondo di socioeconomia dove si parla di queste cose.
      per evitare di sembrarle elusivo, tuttavia, le dirò che quello che serve non è chissà quale mutamento antropologico, anche se i mutamenti sono già avvenuti nella coscienza dell’uomo e delle società, e proprio la nascita dell’economia come pseudoscienza ne è la prova conclamata. Ciò che serve è che ognuno di noi conformi il suo comportamento al principio che esiste il prossimo suo oltre se stesso e sparga la sua semenza. A suo tempo ogni frutto sarà utile e saporito. Il pessimista non ci crederà, ma non gli farebbe male sperarci.
      Grazie per il commento

      ps: se vuole approfondire può trovare qualche spunto qui https://thewalkingdebt.org/tedioevo/amen/

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  3. renzo

    Leggerò senz’altro il suo link.Facendo un passo indietro ai rapporti tra economia e filosofia/morale,provo a fare un esempio del mio pessimismo e di quello che intendo ,partendo in concreto da una scoperta che ho fatto proprio leggendo lei, e di cui la ringrazio. Mi riferisco all’Unione Europea dei Pagamenti degli anni 50, che mi sembra in un certo modo un’applcazione dell’idea keynesiana del bancor,con un meccanismo di incentivo all’aggiustamento macroeconomico e strutturale basato, a livello morale/ filosofico, su di un principio meno impegnativo del dono, e che però è quello della reciprocità.Ora quello che noi vediamo è una situazione europea in cui i paesi esportatori/creditori stanno per l’appunto evitando il più possibile ogni reciprocità di aggiustamento ( tra l’altro presentando alle proprie opinioni pubbliche la necessità e giustezza di tale politica in base ad un’altra narrazione morale/filosofica, che in soldoni possiamo far risalire alla fiaba della cicala e della formica ).Con questo non voglio buttare il biasimo a priori sulla Germania o chi per essa, ci fossimo trovati noi nella loro situazione probabilmente avremmo fatto uguale.D’altro canto, riprendendo le sue parole, è proprio il concetto di prossimo che è cruciale , ma , come sto cercando di evidenziare,pare all’atto pratico così difficile da pensare collettivamente ancora prima che da applicare.Siamo viceversa quotidianamente bombardati dall’opposto concetto di competizione reciproca, a livello individuale, sociale, nazionale , internazionale.

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    • Maurizio Sgroi

      lei ha perfettamente ragione. ma il fatto che la realtà economica si mostri poco cooperativa – ma poi lo è davvero così tanto? pensi agli infiniti casi in cui il prossimo viene sostenuto da qualcuno – non vuol dire che sarà così per sempre. la cronaca può essere brutta, ma la storia, alla fine può essere diversa.
      grazie per il commento

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  4. hansel

    il peccato dell’occidente è essere diviso ancora oggi in due tra democrazia (america) e monarchia (europa)….

    e a godere è il terzo incomodo (la cina)

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