Reglobalisation: winter is coming
La nuova stagione del nostro blog, l’undicesima, comincia coi peggiori auspici e lascia davvero poco spazio all’ottimismo. Inutile riepilogare qui quello che sappiamo tutti: la pandemia, la guerra in Ucraina e adesso la crisi energetica riportano l’Europa nei suoi tempi bui che stavamo attraversando quando abbiamo iniziato a scrivere questo blog. Era la fine del 2012 e stavamo districandoci in una difficile crisi che aveva colpito la moneta unica, mettendo a dura prova le economie più fragili. A cominciare dalla nostra.
Oggi il contesto è ancora più complicato. La crisi dell’euro del 2010-11 era conseguenza di quella subprime. Parliamo quindi di una crisi finanziaria che impattava sull’economia reale. Oggi invece abbiamo una crisi dell’economia reale – e sorvoliamo su quella geopolitica -, determinata dal caro energia, che sta impattando sul sistema finanziario, come stanno dimostrando i vari interventi di salvataggio preventivo dei governi di mezza europa per le aziende energetiche nazionali, schiacciate da un repentino e profondo aumento dei margini per i loro contratti quotati sulle forniture energetiche.
Si parla di soldi, quindi. Molti soldi. E se non bastasse questo, la capienza fiscale viene limitata dalle crescenti ristrettezze delle politiche monetarie che le banche centrali, americana ed europea in testa, stanno praticando senza troppi riguardi per le conseguenze strutturali, avendo come target l’inflazione, che alla crisi energetica si abbevera generosamente. Piove sempre sul bagnato, com’è noto.
A far la differenza stavolta non sono tanto le conseguenza nefaste, ma il livello dello scontro. Stavolta non è una turbolenza che genera il panico, ma un conflitto geografico e politico. Noi, mandatari più o meno consapevoli della potenza laterale atlantica, e loro, i russi. Che ci tagliano il gas perché ci sanno fragili, paurosi, attaccati al nostro benessere e incapaci di rinunciarvi. Una scelta che prelude a chiari cambiamenti nelle linee della globalizzazione che difficilmente tornerà ad essere come prima, ma si configurerà seguendo nuove linee di penetrazione. A questa osservazione – che abbiamo chiamato Reglobalisation – è dedicata questa stagione del blog.
Ma prima ancora dobbiamo fissare il nostro punto di partenza. Un punto zero. Se a qualcuno fosse sfuggita, segnalo la dichiarazione di qualche giorno alla Tass del ministro russo dell’energia Nikolay Shulginov nella quale, osservando che fino al 2027 sarà molto difficile per l’Europa rendersi indipendente dal gas russo, concludeva con una pregevole considerazione che mostra l’opinione che i russi hanno di noi: “Penso che il prossimo inverno dimostrerà agli europei quanto sia reale o meno la loro fiducia nella possibilità di rifiutare il gas russo. Farlo porterà all’arresto della loro industria e della loro produzione di energia elettrica tramite gas. Sarà una vita totalmente nuova per gli europei: assolutamente insostenibile per loro”.
Non so voi, ma in questa dichiarazione io leggo la convinzione che siamo una popolazione debole, divisa, incapace di sacrifici e pronti a piegare la testa al primo tiranno che ci fa patire il freddo e magari anche la fame. Talmente attaccata ai nostri robusti patrimoni che neanche contempliamo la possibilità di usarli per qualcosa di più elevato delle nostre bassezze.
Siamo così? I russi chiaramente lo pensano. Per fortuna non conta quello che pensano loro. Conta quello che pensiamo noi. E, soprattutto, quello che facciamo.
Winter is coming, recitava una celebre serie tv di qualche anno fa. Nessuna espressione illustra meglio quello che ci aspetta. Speriamo di essere all’altezza. Diciamo che dobbiamo esserlo.
Buona fortuna a tutti.