Il dilemma fra intelligenza artificiale e disoccupazione naturale

Il Fondo monetario internazionale ho svolto una interessante ricognizione, da prendere sempre con la consueta prudenza, che sembra scritta apposta per alimentare il luddista che abita in noi, ormai quotidianamente eccitato dal minaccioso prospettarsi della macchina intelligente che fra poco penserà anche al nostro posto (qualcuno ne sarà felice, ovviamente).
Un articolo firmato dalla direttrice del Fmi lo dice a chiare lettere: “L’intelligenza artificiale influenzerà quasi il 40 per cento dei posti di lavoro in tutto il mondo, sostituendone alcuni e integrandone altri”. Per la cronaca, l’impatto di questa “sostituzione/integrazione” sarà assai più pronunciata nei paesi avanzati, dove sfiorerà il 60 per cento, e assai meno in quelli emergenti.
Sarebbe bello poter chiedere alla Georgieva se per caso il Fmi ha anche avuto modo di calcolare l’impatto del telaio meccanico nell’industria tessile inglese nel XVIII secolo, che come abbiamo osservato nella mia Storia della ricchezza, forse è stato assai più rilevante, malgrado il telaio in sé non avesse nulla di intelligente, salvo la circostanza che aumentava la produzione e diminuiva la domanda di lavoro umano.
Ciò per dire che sarebbe bello che queste considerazioni, certamente ragionevoli, fossero sempre accompagnate da considerazioni più ampie di quelle a cui ci ha abituato il nostro povero dibattito pubblico. Considerare l’intelligenza artificiale, che ha il pregio di essere di moda, come un evento capace di destabilizzare le nostre società non rende giustizia agli enormi progressi compiuti negli ultimi secoli dalla tecnologia. E soprattutto minaccia di caratterizzare questa nuova tecnologia come una potenziale nemica dell’umanità, che, a ben vedere, non ha bisogno di nuovi nemici perché capacissima di farsi del male da sola.
A tal proposito, la considerazione che “una delle cose che distingue l’intelligenza artificiale è la sua capacità di avere un impatto sui lavori altamente qualificati” espressa dall’autrice dell’articolo è una interessante evoluzione del pensiero luddistico che sempre abita in ognuno di noi. Mentre in passato erano i meno qualificati a pagare il conto dell’innovazione, sembra volersi dire, con l’IA tocca pure a quelli bravi. Ieri era il tessitore, oggi magari l’avvocato o il giornalista.
Questa “chiamata all’allarme”, diciamo così, risulta particolarmente efficace se la si legge insieme alla considerazione che i paesi avanzati sono più esposti all’effetto “distruttivo” dell’IA. “Nei casi più estremi questi posti di lavoro potrebbero scomparire”. Purtroppo non abbiamo la memoria abbastanza lunga per celebrare il lutto dei costruttori di canali fluviali, che scomparvero drasticamente dopo la nascita dei costruttori di linee ferroviarie nel XIX secolo. Fra loro c’erano straordinarie eccellenze, come può facilmente sospettare chi abbia avuto la ventura di navigare ai nostri giorni il Canal du Midi francese.
I paesi emergenti, dove l’intelligenza artificiale si prevede farà meno danni, diciamo così, pagano però il prezzo che diventeranno meno competitivi, “aumentando il rischio che nel tempo la tecnologia possa peggiorare le diseguaglianza fra le nazioni”.
Riepiloghiamo: i paesi avanzati avranno tanta intelligenza artificiale e molta disoccupazione naturale, che a ben vedere, considerando i loro trend demografici che erodono costantemente la forza lavoro non è necessariamente un male. Mentre i paesi emergenti avranno meno intelligenza artificiale e più occupazione naturale. Al prezzo però di una minore modernità, diciamo così, che rima non a caso con produttività. Morale della favola: i ricchi saranno più ricchi e meno contenti. I poveri più poveri. Contenti lo sono stati di rado.
Si può decidere di credere o non credere a questa narrazione, che tanto ci rassicura nel profondo dei nostri luoghi comuni. E sarebbe ingeneroso svalutare l’ottimo lavoro fatto dagli autori che hanno scritto il paper. Rimane il fatto: possiamo raccontarci ogni cambiamento sottolineando i rischi oppure le opportunità. La prima strada incentiva la paura, la seconda la fiducia. Entrambe sono necessarie, ma nelle giuste dosi. Ai poster l’ardua sentenza, diceva il poeta.
