Il long Covid dell’istruzione europea

Il Covid non fa più notizia, e per fortuna. Rimangono però i danni che la pandemia ha prodotto nei nostri sistemi sociali, e stendiamo un velo sui danni irreparabili subiti dai privati.

Qui abbiamo parlato più volte degli effetti duraturi che le decisioni straordinarie prese dai governi avranno sulle politiche fiscali e monetarie, con l’inflazione a ricordarci che nessun pasto è gratis. Il recente quarterly report sull’Ue pubblicato dalla Commissione ce ne ricorda un altro che purtroppo non ha altrettanta visibilità, malgrado sia molto importante per il nostro futuro: il danno che la chiusura delle scuole, praticamente per due anni, ha avuto sui nostri ragazzi. Quelli che una brutta espressione economicistica chiama il “capitale umano” di domani.

Due anni di scuola a distanza, per chi ha potuto farla, hanno provocato un duplice problema. Il primo, immediatamente visibile, sulla qualità dell’istruzione, drasticamente peggiorata – si stima un deficit medio del 20% in molti stati membri rispetto a un anno di scuola normale – che ha pesato ovviamente sulle categorie più fragili, già svantaggiate dal frequentare scuole meno efficienti.

Il secondo danno, che amplifica il primo, è più sottile e non stimato, e ha a che fare col modo nel quale i nostri ragazzi si rapportano alla conoscenza. Averli incollati per due anni davanti a uno schermo ha amplificato una tendenza che per un nativo digitale è già a livelli allarmanti, e nessuno sa davvero quali saranno le conseguenze sull’efficienza cognitivo di un’istruzione sempre più mediata dalle nuove tecnologie.

L’analisi dell’Ue di questo aspetto non parla, ovviamente. Non ne parla praticamente nessuno. Così come nessuno parla degli effetti dell’esposizione coatta – che passa sempre dalle nuove tecnologie – e sempre più duratura delle nuove generazioni ai prodotti di intrattenimento. E’ un argomento tabù.

L’Ue però ci propone alcuni dati che potete osservare nel grafico sotto che indicano un cambiamento interessante delle tendenze – ovviamente da confermare nei prossimi trimestri – soprattutto dei tassi di occupazione.

Notate che i tassi di attività delle coorti più giovani sono aumentati a partire dal 2020, dopo un lungo periodo di curva piatta. Può significare tutto e nulla. Ad esempio che più giovani hanno deciso di darsi da fare dopo la pandemia. Ma anche che più giovani hanno lasciato la scuola e hanno cominciato a lavorare. Nulla di male, per carità. A patto di ricordare che in un’economia sempre più ad alto valore aggiunto, come quella che ormai si chiama economia della conoscenza, condanna chi conoscenza ne ha poca a vivere nella parte bassa della distribuzione statistica della ricchezza.

Rimane la domanda se il long Covid dell’istruzione, chiamiamolo così, avrà effetti rilevanti da un punto di vista macroeconomico. Su questo gli economisti di Bruxelles non si sbilanciano troppo. O forse sì. “Un effetto si potrebbe avere nella seconda metà del secolo XXI – scrivono – quando tutte le coorti coinvolte nel periodo Covid saranno entrate nel mercato del lavoro”. Per allora saranno visibili, sui giovani di oggi, gli effetti delle decisioni che noi, vecchi di oggi, abbiamo preso. Noi non ci saremo quasi più. Loro sì.

Un Commento

  1. Avatar di Eros Barone
    Eros Barone

    La sfida posta dalla “Terza Fase” – laddove con questo sintagma si intende il passaggio da uno stadio in cui la conoscenza evoluta si acquisiva soprattutto attraverso il libro e la scrittura (cioè attraverso l’occhio e la visione alfabetica, quindi attraverso l’intelligenza sequenziale) ad uno stadio in cui essa si acquista anche (e, forse, soprattutto) attraverso l’ascolto e la visione non-alfabetica (cioè attraverso il binomio orecchio-occhio, quindi attraverso l’intelligenza simultanea); questa sfida, dicevo, è stata perduta, ed è stata perduta perché in questo Paese (mi limito a considerare l’Italia) sono completamente mancati, a parte isolate e non influenti eccezioni, un ceto politico ed un ceto intellettuale che hanno rinunciato ad esigere dai nostri ragazzi, sul piano dell’impegno nello studio e nella conoscenza, molto di più di quello che è stato loro richiesto, abbassando così sempre di più i livelli, i contenuti e la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento. Non è difficile quindi prevedere che nei prossimi decenni, che saranno segnati da enormi tempeste economiche, politiche, sociali e militari, e dalla poderosa avanzata di nuove potenze dotate di sistemi educativi di alto livello, ci toccherà pagare un conto assai salato, come Stato nazionale, per la regressione cognitiva delle nuove generazioni. Basti pensare che le misure indicate da 600 docenti universitari in un documento che segnalava all’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità preposte la drammaticità della regressione linguistica delle nuove generazioni (fra le altre cose, dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura a mano, nonché verifiche nazionali periodiche di queste abilità durante gli otto anni del primo ciclo scolastico) rientrano tutte in quello che era il funzionamento ordinario della scuola dell’obbligo, prima che esso fosse mutilato e distorto, per un verso, dalle sciagurate politiche scolastiche di questi ultimi decenni e, per un altro verso, da quello che viene definito nell’articolo “il long Covid dell’istruzione”.

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  2. Avatar di Eros Barone
    Eros Barone

    Mi correggo: non “un ceto politico ed un ceto intellettuale intellettuale che hanno rinunciato ad esigere dai nostri ragazzi”, ma “un ceto politico ed un ceto intellettuale capaci di chiedere ai nostri ragazzi…”.

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