L’Italia fra dipendenza e rilevanza strategica nel commercio internazionale

Un quarto di secolo è un tempo lungo abbastanza per osservare una tendenza che abbia un minimo di fondamento. Vale la pena perciò leggere un’analisi molto istruttiva che Istat ha pubblicato nel suo ultimo rapporto annuale che dice molto dell’evoluzione del nostro paese nelle lunghe catene del commercio internazionale, che incidentalmente è cresciuto parecchio proprio in quest’ultimo quarto di secolo.

Per osservare come ciò abbia cambiato il modo italiano di partecipare al commercio, Istat usa due strumenti concettuali: quello di rilevanza strategica, che misura quanto le produzioni italiane siano utilizzate, direttamente o indirettamente, nei sistemi produttivi esteri, e quello di dipendenza strategica, che invece dice quanto le produzioni estere siano utilizzate dai produttori italiani. L’orizzonte di riferimento è quello fra il 1995 e il 2020, quindi gli anni clou della globalizzazione più recente, quando gli scambi, almeno fino al 2008, sono cresciuti rapidamente.

Il risultato è quello che si può osservare dal grafico sopra. L’Italia ha visto crescere la dipendenza strategica a fronte di un calo della rilevanza strategica. Questo alla fine del periodo. Vale la pena osservare, però, che fra il 1995 e il 2008, quando tutto è cambiato, rilevanza e dipendenza crescevano insieme.

Insomma, andava meglio prima. Questo non vuol dire che ce la caviamo male. Ormai da diversi anni abbiamo un fisionomia da esportatore netto: nel 2020 il livello della rilevanza strategica era superiore di tre volte a quello di dipendenza strategica. Ma è vero altresì che nel 1995 era sei. E questo dipende dal fatto che – dato 2019 – quasi la metà della produzione italiana (il 45%) viene utilizzata come input per le produzioni estere a fronte del fatto che solo il 21% delle produzioni estere vengono usate da produzioni interne. E questa è la buona notizia.

Quella meno buona è che la dipendenza dall’estero è cresciuta di 1,8 volte in 25 anni, con grandi differenze fra dipendenza dai paesi Ue, in linea con quella media (1,7 volte) e quella nei confronti della Cina (13,4 volte), mentre si è ridotta rispetto a Regno Unito e Stati Uniti.

In termini settoriali, il contributo delle produzioni italiane a quelle estere si è ridotto per la manifattura (-11% nei 25 anni considerati), sia per i servizi di mercato (-15%). Fra i settori si dimostrano rilevanti per le produzioni italiane il comparto agro-alimentare (+30%) e l’alloggio e la ristorazione (+24%).

Se guardiamo alla dipendenza strategica, osserviamo che tutti i settori, compresi quelli più rilevanti strategicamente, hanno visto crescere la dipendenza dall’estero. L’agricoltura, ad esempio, del 160%. Se guardiamo al terziario, si osserva l’aumento del 315% dell’informatica e del 127% dei servizi finanziari.

Questo andamento risulta molto condizionato dal successo registrato dai paesi emergenti nel posizionarsi lungo le catene del valore. L’Italia ha perso quote nella manifattura ed ha aumentato la sua dipendenza dai servizi importati. Ce n’è abbastanza per ragionare su una strategia di lungo termine di riposizionamento. Ma prima bisogna capire per andare dove.

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