Il declino economico gemello di Europa e Cina

Un’Europa debole non può che esprimere un’economia debole, suggerisce il buon senso. E il fatto che l’ultimo World Economic Outlook del Fmi preveda un futuro da fanalino di coda per l’economia europea fa sospettare che per una volta il pubblico e la critica siano d’accordo su una cosa: L’Europa non sta funzionando.

Non crediamo che sia solo l’economia il termometro capace di misurare lo stato di salute di un paese. E tuttavia in questo caso ci sono tanti sintomi concorrenti che trovano proprio nei numeri dell’economia la loro più immediata rappresentazione.

Il sospetto, insomma, è che l’Europa si trovi davanti a una crisi esistenziale e si inizia a dubitare che abbia gli strumenti efficaci per contrastarla. Avremmo bisogno di antibiotici, e invece continuiamo a sorbire i rimedi omeopatici di Bruxelles. E questo sia detto senza polemica, ma solo con un’ombra di tristezza.

Che le prospettive non siano buone non lo dicono solo le previsioni di crescita, che come ogni previsione sono scritte per essere smentite. Lo dicono anche gli andamenti della crescita potenziale, ossia delle grandezze che misurano le caratteristiche strutturali di un’economia.

I dati raccolti dal Fmi, che il grafico sopra sommarizza, mostrano con chiarezza che la crescita potenziale nelle economie avanzate, salvo che per gli Usa, è più bassa di cinque anni fa. Un destino che questi paesi, fra i quali ci sono anche quelli europei (basta vedere la Germania) condividono con la Cina che, al contrario di quanto accade nelle altre economie emergenti sta incontrando difficoltà strutturali nel suo sistema economico che in qualche modo somigliano a quelle europee.

Entrambe le aree, infatti, hanno una demografia avversa – la Cina di recente ha ufficializzato il suo terzo calo consecutivo nella popolazione – e si sono sviluppate puntando molto sulle esportazione senza stimolare adeguatamente la domanda interna.

Similitudini che nascondono anche grandi differenze, ovviamente. La Cina, per dirne una, a differenza dell’Europa è una unità politica, non solo economica. E l’Europa, quanto a quest’ultimo aspetto, non è neanche bene integrata, visto che è carente dal punto di vista della fiscalità comune e del mercato dei capitali.

Rimane la somiglianza. Sia Cina che Europa in qualche modo raccontano di una transizione incompiuta, seppure di natura ed esiti molto diversi. E questi non sono più tempi che premiano gli indecisi. Quando i tempi sono segnati da profonde incertezze va avanti veloce chi ha le idee chiare, persino se sono sbagliate. Gli altri rallentano. Anche se hanno idee giuste. E la storia, alla fine, deciderà quali fossero davvero le idee giuste e quali quelle sbagliate.

Un Commento

  1. Avatar di Eros Barone
    Eros Barone

    Sono convinto che occorre sottolineare il carattere artificiale dell’attuale costruzione europea, che è il frutto dell’economia (e in particolare di quella dei paesi mitteleuropei più forti, a partire dalla Germania), ma non della storia e tanto meno della geopolitica. La costruzione europea è fatta, insomma, di materiali reciprocamente incompatibili, che per ora vengono tenuti assieme da un unico comun denominatore: l’americanizzazione anticomunista. La Brexit ha infatti segnato otto anni fa, se così ci si può esprimere, la schiacciante vittoria della storia e della geopolitica sulla geografia: che è quanto dire la netta volontà di predominio mondiale dell’anglosfera. Del resto, non si deve dimenticare che, oltre ai legami storici con gli USA, l’Inghilterra non ha significato senza il Commonwealth. Parimenti, l’America latina è più vicina ai paesi latini europei di quello che non siano i paesi tedeschi e anglosassoni. Lasciando da parte allora il criterio geografico, resta da vedere se l’Europa si possa definire un’unità storica e culturale. Chi sostiene che il significato più profondo dell’ideale europeo consiste nella tradizione classica e umanistica non tiene conto del fatto che tale tradizione ha avuto il suo centro nel Mediterraneo e non nell’Europa, e che è entrata in crisi con la scoperta dell’America, quando il centro della civiltà ha cominciato a spostarsi dal Mediterraneo all’Atlantico, dando origine all’Europa nel senso attuale del termine. La civiltà mediterranea, peraltro, è stata sempre intercontinentale ed è vissuta dell’apporto di tutti i popoli che si sono affacciati nel nostro mare (“rane affacciate sullo stesso mare”, come li definisce Platone, con efficace similitudine, nel “Fedone”). La nostra tradizione culturale e civile è stata fin dalle origini di carattere decisamente universale. Non ha quindi senso, dal punto di vista storico-culturale, parlare di una educazione europea. In realtà, è negli ultimi secoli che l’Europa ha assunto una fisionomia europea, ma in senso sempre meno latino e sempre più germanico e anglosassone, fino a rendere concreta l’equazione tra l’Europa e la Mitteleuropa. L’attuale ideale europeo, pur così fortemente ridimensionato dalle recenti vicende internazionali, ha nell’origine tedesca, fra Ottocento e Novecento, la sua vera matrice storica e geopolitica. In sostanza, l’europeismo è un mito che fa il gioco della Germania, che dell’Europa si sente il centro – magari in condominio con la Francia – e dell’Europa vorrebbe essere l’arbitro. Ma noi? Che c’entriamo noi e perché ci siamo prestati e ancora in parte ci prestiamo a questo gioco? Come civiltà mediterranea, il nostro ideale ha un respiro universale e va al di là di ogni confine e di ogni continente. Così, da questo punto di vista dobbiamo anche rifiutare l’equazione ‘europeo = occidentale’, perché il vero problema che ci dobbiamo porre è appunto quello dell’unificazione di Occidente e Oriente. E la nostra cultura potrebbe essere all’avanguardia del processo verso l’unità di tutte le culture e di tutte le tradizioni: una sintesi profonda, viva e operante della cultura umanistico-letteraria e della cultura scientifico-tecnica, che solo il marxismo, a mio avviso, è in grado di produrre. Il problema della politica e dell’educazione di oggi consiste proprio nel costruire questa sintesi, armonizzando tutti i valori ai quali siamo stati educati, valori che debbono risolversi in un sistema più comprensivo di tanti altri valori. In conclusione, l’ideale europeo non esiste, anche se viene dato (con o senza i valori dell’illuminismo, con o senza i valori del cristianesimo) per acquisito e per pacifico, quando invece esso è non soltanto molto problematico e discutibile, ma addirittura di carattere negativo, quindi tale da ingenerare sul piano culturale equivoci e disorientamenti pericolosi, che si accompagnano ad effetti sempre più gravi sul piano economico, sociale e politico.

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