La rivoluzione dell’euro comincerà dal mercato del petrolio
Si capisce bene perché così tanta importanza abbia il mercato energetico per le sorti di quello finanziario ricordando, come fa il capo del Dipartimento monetario della Bis Claudio Borio in un suo recente intervento, come una eventuale quotazione in euro delle risorse energetiche significherebbe una sostanziale innovazione dell’economia internazionale. Talmente, che non è esagerato immaginarla come la messa in discussione dell’equilibrio ultra-decennale che finora ha retto il gioco globale. L’egemonia del dollaro, che ha un’evidente natura politica, si regge tecnicamente sulla circostanza che la valuta statunitense è continuamente richiesta dagli attori dei mercati per finanziare i loro acquisti, a cominciare propri da quelli energetici, che sono una fetta importante del commercio internazionale. Sappiamo già che l’Europa è una grande acquirente di energia, che viene pagata in dollari. E abbiamo già visto che proprio su questo tema si sta sviluppando un dibattito che sarà interessante seguire per capire dove possa condurci.
Nel frattempo alcune indicazioni tecniche sottolineate da Borio ci aiutano a scorgere dettagli importanti che sicuramente favoriscono la comprensione delle conseguenze che una tale rivoluzione – la quotazione delle materie prime energetiche in euro – è capace di provocare sui mercati finanziari.
La prima ha a che fare con la volatilità. “I prezzi delle commodity – spiega Borio – possono pure non essere denominati in euro, ma si muovono, almeno in una qualche misura, con l’euro”. E questo spiega perché “se c’è una ragione per la quale quotare i prezzi delle commodity, specialmente quelle del petrolio, in euro, è quella di ridurre la loro volatilità, quando si misura in euro”. Ciò in quanto “quando il prezzo delle commodity sale, il dollaro, che denomina questi bene, tende a indebolirsi nei confronti dell’euro e come risultato i prezzi in euro crescono meno”. “In altre parole – sottolinea – per quanto possa sembrare paradossale, in realtà i prezzi sono più stabili misurati in euro che in dollari”.
Questa singolarità si può osservare nel grafico sotto, che illustra come dal 2008 la volatilità del Brent espressa in euro è stata più bassa di quella in dollari.
Per dirla con le parole di Borio “lo spostamento sistematico del dollaro nei confronti dell’euro per ogni cambiamento dei prezzi del petrolio significa che il tasso di cambio funge da ammortizzatore”.
Chiaramente non finisce qua. Denominare in euro una fetta sostanziosa del commercio internazionale significa insidiare lo strumento principe dell’egemonia statunitense, come potremmo dire traducendo per i palati più grossolani le finezze di Borio quando spiega che “il commercio e il regolamento del petrolio in euro sposterebbero i pagamenti dai dollari a euro, trasferendo il regolamento finale al sistema TARGET2”, ossia nel cuore dell’eurozona. Senza dimenticare che “denominare i prezzi dell’energia in euro avrebbe implicazioni per chi prende a prestito per proteggersi dal rischio di cambio. Gli importatori della zona euro lo farebbero automaticamente prendendo in prestito la loro valuta nazionale. E i produttori di energia al di fuori dell’area dell’euro sarebbero indotti a contrarre prestiti in euro per proteggere i propri flussi di cassa”.
Al tempo stesso, anche fuori dall’eurozona, pensiamo ad esempio alla Cina, ci sarebbero incentivi a prendere a prestito in euro per finanziare i propri acquisti. “È importante sottolineare che tutto ciò promuoverà l’uso dell’euro come valuta di finanziamento internazionale, un ruolo in cui la sua importanza è prima aumentata e poi diminuita dalla sua introduzione”, come si può osservare dal grafico sotto.
Fin qui Borio. Ma chi ha buone orecchie, avrà già inteso.
(3/fine)
Puntata precedente: Ecco come l’euro ha cambiato il mercato valutario