L’istruzione paga il prezzo dell’età della conflittualità

Un recente rapporto Ocse dedicato agli sviluppi dell’istruzione nell’area solleva molto opportunamente una domanda che dovremmo porci ogni qual volta discutiamo della necessità di aumentare la quantità di risorse dedicate alla difesa: chi dovrà farne le spese?

Non è una domanda banale. Se osserviamo l’andamento della spesa militare nei paesi Ocse, notiamo che il cosiddetto “dividendo della pace”, ossia la possibilità di dedicare ad altro le risorse prima indirizzate verso la difesa, è stato corposo, in termini finanziari.

Al picco del trend ribassista, nel 2013, la spesa media è stata dell’1,5% del pil, la metà di quanto non fosse nel 1988, quando ancora c’era il muro di Berlino. Più o meno quanto investe il nostro paese oggi. Ma si tratta di un trend ormai superato. La curva ormai si è riportata verso il 2% del pil, e i politici sembra facciano a gara a chi la spara più grossa. In breve: cresce la convinzione che andiamo incontro a una crescente conflittualità, che è la migliore ricetta perché succeda veramente.

Da qui la domanda: chi dovrà sostenere il conto di questo epocale trasferimento di risorse?

Questa domanda diventa pressante, specie in un momento in cui i governi si trovano con spazi fiscali ridotti al lumicino e voci di bilancio praticamente bloccate da decenni di diritti acquisiti. Pensate, ad esempio alla spesa previdenziale, che corre parallelamente a quella sanitaria, entrambe riflesso del crescente invecchiamento della popolazione.

Ed ecco allora il timore che il primo settore a soffrire i danni della “militarizzazione” della società sia proprio l’istruzione. In tempi di conflitti servono guerrieri più che latinisti. E inoltre, una società con sempre meno giovani può spostare senza troppi danni le risorse dai banchi della scuola ai cannoni.

Ma è davvero così? L’istruzione non è solo un vezzo per appassionati. Rappresenta una chiara scelta verso il pensiero analitico, che è la strada maestra per il confronto e quindi la risoluzione dei conflitti. Il fatto che da anni i conflitti crescano, al punto da giustificare nel nostro immaginario una corsa agli armamenti in stile Belle époque (e sappiamo com’è finita) dimostra semmai che non abbiamo investito abbastanza, sull’istruzione. O che abbiamo sbagliato qualcosa.

Il mondo litiga perché non si capisce. E non si capisce perché non ha studiato abbastanza. Se la vedessimo così in larga maggioranza, forse i conflitti diminuirebbero.

Un Commento

  1. Avatar di Eros Barone
    Eros Barone

     Vi è un aspetto che va collegato al tema del rapporto tra istruzione e conflittualità giustamente evocato con preoccupazione dal dottor Sgroi: si tratta della indipendenza nazionale. Orbene, un certo tipo di cultura sposa apertamente le posizioni che riducono la questione dello Stato nazionale ad un’invenzione razzista ed antioperaia della borghesia ottocentesca. Ci sarebbe da ridere, se queste posizioni non fossero alla lunga storicamente nefaste, perché suscitano nel medio periodo reazioni sciovinistiche, razzistiche e più in generale fascistoidi. La questione scolastica è invece parte integrante della questione dell’indipendenza e della sovranità dello Stato nazionale. Il modello di ‘scuola-azienda’ che le ‘riforme’ (da Berlinguer a Bianchi, eccettuato almeno in parte l’attuale ministro) hanno teso ad instaurare, era infatti diretto ad affermare un modello deterritorializzato, del tutto funzionale ai processi di americanizzazione visti come frontiera avanzata della modernità. Ma questo modello è la negazione di tutte le grandi conquiste della modernità illuministica e romantica, e opera nella direzione di un inedito oscurantismo tecnologico e della disemancipazione socio-politica resa possibile dal soffocamento del pensiero critico. Sono questi i pilastri, il primo poderoso e gli altri fragili, su cui le classi dirigenti europee hanno cercato di edificare quella che, senza alcuna esagerazione, si può definire la ‘dittatura dell’ignoranza’. Non è quindi da escludere, siccome la Provvidenza scrive diritto su righe storte, che il potente contraccolpo generato dalla svolta storica posta in atto dal trumpismo si riveli dialetticamente benefico anche per le fatiscenti strutture (non solo edilizie) della scuola italiana, spingendola a rivendicare, a ridefinire e a praticare quella centralità nello sviluppo del nostro Paese che troppo spesso è stata oggetto di esercitazioni retoriche volte a nascondere dietro verbali cortine fumogene una politica di destrutturazione in conseguenza della quale gli studenti sono diventati sempre più ignoranti, gli insegnanti sempre più marginali e le famiglie sempre più invadenti e non di rado aggressive.

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    • Avatar di Maurizio Sgroi
      Maurizio Sgroi

      Salve,
      la dittatura dell’ignoranza è una bella definizione per il nostro spirito del tempo. Infatti ormai impera.
      Temo che l’ignoranza abbia molte fonti, alcune insospettabili.
      La scuola, aldilà delle ragioni, temo anche io non sia stata capace di essiccarle tutte.
      Non credo che Trump stimolerà una qualche forma di reazione. Quella può nascere solo da ognuno di noi. Anche questi commenti sono già qualcosa.
      Per cui, grazie per il commento.

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