La grande fuga di capitali verso le borse europee

Le ultime giornate di borse, afflitte da ondate di volatilità generatrici di vorticosi saliscendi, potrebbero farci perde di vista una tendenza che ha iniziato a esprimersi dall’inizio dell’anno e che viene molto opportunamente ricordata dalla Bis nella sua ultima Rassegna trimestrale: il mini rally delle borse europee, che non solo hanno fatto meglio di Giappone e Gran Bretagna, ma ormai esibiscono una valutazione media dell’equity, misurata col rapporto prezzo/dividendi, simile a quella statunitense.

Sembra insomma che molti capitali abbiano preso la strada delle borse europee, resistendo in qualche modo alle recenti pressioni ribassiste che hanno afflitto i mercati Usa, peraltro molto tirati. Il recente calo dei titoli tecnologici, per dirne una, dovrebbe essere osservato ricordando che nell’ultimo anno le quotazioni delle Magnificent 7, fra le quali c’è anche Tesla, sono cresciute in media del 40%. Nulla di strano che avvengano correzioni, specie quando il clima si fa brutto.

Ma come mai i capitali hanno scelto l’Europa, si domanda la Bis, che certo non brilla per prospettive economiche, soffre per i prezzi energetici elevati e adesso è anche minacciata dalle tariffe Usa? Come si spiega l’aumento delle quotazioni di circa il 15% che si osservato da dicembre scorso?

La Banca di Basilea ipotizza che dietro questa performance ci sia un certo cambiamento delle aspettative degli investitori, un sentiment più benigno verso i mercati azionari europei, che ha portato a una compressione del premio di rischio.

Quest’ultimo rappresenta la differenza fra il rendimento atteso del mercato azionario e quello di un titolo considerato sicuro, classicamente un titolo di stato. Quindi se gli investitori abbassano il premio di rischio, tendono a comprare più azioni.

La variabile da osservare per comprendere questo orientamento è il rapporto prezzo/dividendo, che in Europa è cresciuto nell’ultimo periodo come si può vedere dal grafico sopra al centro. Concettualmente il prezzo di un titolo dovrebbe dipendere dal valore scontato ad oggi dei dividendi futuri attesi. Essendo un rapporto, il prezzo/dividendo può crescere o perché si attende un aumento dei prezzi del titolo o perché, a prezzo costante, ci si attende una diminuzione dei dividendi.

In generale l’evoluzione del rapporto prezzo/dividendo può dipendere da tre cose: variazione dei tassi degli strumenti privi di rischio (sempre il classico titolo di stato); variazione del premio di rischio del mercato azionario (quello di cui parlavamo prima); variazione nella crescita prevista dei dividendi. Un aumento delle prime due componenti riduce il rapporto prezzo/dividendo poiché tassi privi di rischio o premi di rischio più elevati determinano uno sconto maggiore dei flussi di cassa futuri. Al contrario, un aumento della terza componente aumenta il rapporto prezzo/dividendo poiché segnala dividendi futuri più elevati (ad esempio flussi di cassa).

Gli economisti della Bis hanno notato che l’aumento dei tassi a lungo termine ha esercitato una pressione al ribasso sul rapporto prezzo/dividendo sia negli Stati Uniti che in Europa (barre gialle grafico centrale). Un ulteriore fattore negativo per le valutazioni europee è stato il deterioramento della crescita prevista dei dividendi (barre rosse) in contrasto con i dati in miglioramento per i loro omologhi statunitensi. Quindi ciò che ha fatto salire le valutazioni del mercato azionario europeo nonostante i due fenomeni avverso è stata la grande compressione dei premi di rischio sulle azioni europee (barre blu).

Cosa significa? Che in pratica gli investitori si accontentano di minori rendimenti per il loro investimento, e quindi comprano azioni, magari perché si attendono ribassi del tasso sui titoli sicuri.

Un altro dato che vale la pena sottolineare è che i capitali si sono diretti su alcuni settori specifici, come banche e Ict. Dal grafico sopra a destra si nota, ad esempio, la buona performance delle banche europee sui listini. Anche i settori che potrebbero avvantaggiarsi dalla fine della guerra ucraina, come quello energetico, hanno visto arrivare capitali freschi.

La Bis conclude la sua analisi suggerendo che “il recente cambiamento potrebbe riflettere almeno in parte un sentimento più positivo e un ottimismo sulla stabilità economica e sulla crescita in Europa in un contesto di riduzione delle tensioni geopolitiche”. Più cinicamente forse si tratta solo del vecchio detto: gli affari sono affari. Ovunque si facciano.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.