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Covid vs Sars: cosa ci racconta l’analisi delle borse


Poiché la viralità è una condizione dell’animo, prima ancora che del corpo, possiamo solo subire con paziente rassegnazione la diffusione, quella sì pandemica, del coronavirus nei nostri pensieri, assai più massiccia e pervasiva di quella finora registrata fra le nostre cellule.

Di questa ossessione del discorso pubblico, comprensibile ma certo defatigante, se ne trova traccia ovunque, non potendo il mondo fare a meno di notare gli effetti disastrosi che intanto questa epidemia di paura – e aspettiamo di smettere di contare i danni alle persone – sta provocando al nostro tessuto economico e sociale, e in particolar modo su quest’ultimo, visto che ormai si legge di uomini politici che sconsigliano le strette di mano e di frontiere che si chiudono. Dove non poterono i dazi, poté la paura, e tanto basta.

Neanche la Bis, che di recente ha pubblicato la sua ultima rassegna trimestrale, poteva sfuggire alla nouvelle vague del coronavirus, per la semplice ragione che la malattia ha avuto sulle borse l’effetto del perfetto comburente per il combustibile incendiario rappresentato da mercati gonfi di rischio e assai poco prudenti.

Molto più di un innesco – quello è stato gentilmente fornito dalle dichiarazioni terrificanti dei politici – il virus ha semplicemente rappresentato l’elemento chimico che mancava per generare una combustione capace di “bruciare” in maniera robusta le borse mondiali, che fino a poche settimane fa brindavano ubriache l’intesa sino-americana sui dazi e già pregustavano nuove spinte monetarie che sicuramente erano previste e che tutti ormai si aspettano a breve, anche in conseguenza della malattia. Malattia che si aggiunge a quella di un sistema finanziario sostanzialmente esausto che ha bisogno di dosi crescenti di additivi sintetici per ritrovare il vigore.

Ma prima di approfondire lo stato dei mercati, vale la pena prendersi un po’ di tempo per osservare un bel grafico elaborato dagli economisti della Banca, che paragona la reazione dei mercati borsistici nel 2003, quando sempre la Cina ci regalò la Sars, con quella iniziata alla metà del gennaio scorso, quando la paura del Covid iniziò a far sentire i suoi morsi, innanzitutto in Asia.

Il grafico paragona gli andamenti delle borse tenendo, per i diversi paesi, sull’asse delle ascisse i giorni dal momento in cui si è sparsa la notizia del contagio, e sulle ordinate un indice aggregato dei valori. Interessante osservare che in Cina, a differenza di quanto accadde ai tempi della Sars, quando probabilmente la notizia della gravità del contagio – che si diffuse con ritardo – provocò perdite prolungate, i mercati stanno già iniziando a recuperare dopo aver generato perdite iniziali assai profonde. Tale andamento suggerisce l’idea che le ondate di panico è meglio farle digerire subito ai mercati, magari accompagnandole con robuste dosi di politiche rassicuranti, piuttosto che mantenere a lungo uno stato di incertezza.

Questo almeno pare abbia funzionato in Cina. Perché in altri paesi gli andamenti sono molto differenti. Nell’Asia emergente, come peraltro anche in Giappone, gli andamenti dei mercati ai tempi del Covid ricalcano ancora sostanzialmente quelli registrati ai tempi della Sars a differenza di quanto si osserva per l’America Latina.

Una nota a parte meritano le borse Usa e dell’Eurozona. Per quest’ultima, in particolare “la performance idiosincratica dei titoli è stata finora leggermente migliore di quella registrato durante il periodo comparabile dell’epidemia di SARS”. Che è sicuramente una buona notizia. Ma che potrebbe incorporarne una cattiva. Ossia che il peggio deve ancora arrivare.

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