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Il problema energetico è innanzitutto fiscale

Perché sia chiaro di cosa parliamo, quando parliamo di energia, risulta molto utile osservare i conti fatti da Ocse sulla differenza fra i prezzi all’ingrosso di gas ed elettricità, e i prezzi al dettaglio, ossia quelli che i cittadini e le imprese pagano per le loro forniture. Come si può osservare dai grafici sopra, le differenze sono rilevanti, specie in Europa. In Germania, ad esempio, l’indice del gas naturale, basato a marzo 2021, si è moltiplicato quasi per dodici, ma il settore retail ha visto “solo” un semplice raddoppio. E sappiamo bene, per averli vissuti sulla nostra pelle anche noi italiani, quanto abbiano pesato questi rincari sul costo della vita.
Ciò che è ovvio, ma che è opportuno sottolineare, è capire dove sia finita la differenza fra il costo all’ingrosso e quello al dettaglio. La risposta è nota: l’ha pagato lo stato. E questo spiega le notevoli complicazioni fiscali di fronte alle quali sono trovate le economie importatrici, gli enormi stanziamenti messi sul tappeto per salvare i giganti energetici, che hanno dovuto comprare all’ingrosso senza poter scaricare tutto l’aggravio sul retail, contribuendo all’aumento del debito pubblico, già peggiorato a causa della pandemia.
Questa evidenza ci porta alla terza evidenza, che è altrettanto ovvia e tuttavia poco discussa: il problema energetico non ha a che vedere solo con l’inflazione, ma anche con l’equilibrio fiscale dei governi. L’arma dell’energia rilascia effetti lenti, oltre a quelli immediatamente visibili. Ma non per questo meno letali.