La fredda guerra della Russia: la bilancia dei patimenti
L’esplosione del consumo privato finanziato a debito coi soldi dell’estero non poteva che avere un costo sociale per la Russia, che ha visto aumentare, poco osservati e ancor meno discussi, i suoi patimenti.
Gli unici che ci è consentito misurare, tuttavia, sempre grazie alle statistiche, è il costo dei pagamenti di rendite che la Russia deve versare all’estero per finanziare il suo stile di vita. Per farlo possiamo guardare all’andamento del saldo di conto corrente della bilancia dei pagamenti della Federazione.
Bilancia dei patimenti, sarebbe più giusto chiamarla.
Nel 2008 il current account mostrava un surplus di quasi 99 miliardi di dollari. L’esplodere della crisi lo ha più che dimezzato, facendolo crollare a 44 mld. Quindi la ripresa, che la riportato il saldo a 92 miliardi nel 2011, e da lì un’altra costante crisi: scende a 73 miliardi nel 2012 e a meno della metà, circa 33 a fine del 2013.
Quali sia la ragione di questo andamento, possiamo capirlo scorrendo le singoli voci del conto corrente. Se guardiamo i dati dal 2005 in poi notiamo che l’attivo di conto corrente dipende esclusivamente dal saldo commerciale, ovvero l’export di beni, che poi nel caso russo sono i beni energetici che portano con sé la scomoda controindicazione di essere correlati all’andamento dei corsi delle materie prime. Il saldo dei servizi è costantemente negativo, così come quello dei redditi. Altre informazioni possiamo trarle osservando la dinamica dei saldi.
Nel 2005 il saldo commerciale quotava 115 miliardi di attivo. Nel 2013 è stimato a 177, in calo rispetto ai 192 del 2012. In nove anni, quindi, il saldo commerciale russo è migliorato di circa il 54% a prezzi correnti.
Nel 2005 il saldo dei servizi mostrava un deficit di circa 10 miliardi. Nel 2013 il deficit dei servizi è arrivato a 59 miliardi, in crescita rispetto ai 46,5 del 2012: quasi sei volte il dato del 2005.
Nel 2005, il saldo dei redditi che, lo ricordo, misura la differenza fra quanto rendono gli investimenti esteri ai russi, e quanto rendono agli investitori esteri gli investimenti in Russia, misurava circa -17,5 miliardi di dollari. Nel 2013 il deficit era arrivato a 66,2 miliardi, quasi quattro volte tanto. Perché, vedete, i debiti esteri costano cari, specie se magari denominati in valuta straniera, e bisogna pur pagare gli interessi.
Cosa ci dice l’analisi (superficiale) dei tre saldi: che la crescita del surplus commerciale è stata assai meno robusta di quella del deficit sugli altri due saldi. Si potrebbe dire che aumentare i debiti esteri, per comprare più merci e servizi dall’Occidente, non abbia fatto gran bene all’economia russa. Avranno pure comprato casa a Londra o una bella squadra di calcio, ma a che prezzo?
Se rivolgiamo il ragionamento dal lato del debitore a quello del creditore, scopriamo l’elementare verità della fredda guerra nella quale si sta infilando il mondo globalizzato: nessuno può permettersi di fare a meno della Russia, se si vuole continuare a far marciare la carovana della globalizzazione.
Gli studiosi della pipeline dovrebbero perdere un po’ di tempo per costruire le dollarline, ossia il flusso costante di scambi merce-denaro-merce che vede i prodotti del sottosuolo russo diventare flusso finanziario e poi nuovamente merce, importata dai principali partner commerciali russi, fra i quali, ancora una volta, primeggia l’Italia.
Le statistiche ci raccontano della quota rilevante sui nostri saldi commerciali delle importazione russe di prodotti italiani, seconde sole a quelle dell’America del Nord e dei paesi del Mercosur, rappresentandosi con ciò l’eterno dilemma dell’Italia, ma in fondo dell’intera Europa, fra l’Oriente e l’Occidente.
Se analizzassimo i flussi degli scambi di beni, oltre a quelli finanziari, scopriremmo che le importazioni russe alimentano le economia dell’Europa, almeno tanto quanto le esportazioni di gas russo la riscaldano. Questo rapporto morganatico fra Europa e Russia, un rapporto di secondo letto regolato da un contratto, è stato ben rappresentato dal discorso tenuto a braccetto dal presidente Usa Obama e dalla cancelliere Merkel sulla crisi ucraina, che invece rappresentano il matrimonio ufficiale dell’Occidente europeo con l’estremo Occidente nordamericano.
Con i russi si fanno affari, non alleanze, mentre con gli statunitensi l’uno e l’altro sono il pane e il companatico del nostro stare al mondo.
E’ un’eredità della storia che difficilmente potrà erodersi. E seppure il sogno neoimperiale di Putin dell’Unione euroasiatica possa risultare geopoliticamente comprensibile, il rischio, nell’epoca della fredda guerra, è che finisca anch’esso nel tritacarne della statistica e dei flussi di portafoglio.
Sembra dunque saggio abbastanza chiedersi se la Russia sarà il detonatore di una generale resa dei conti del dare e dell’avere internazionale, eventualità temutissima dalla finanza globalizzata, oppure se alla fine tutto rientrerà nei ranghi, declassandosi il conflitto a normale scaramuccia.
Nell’evo della fredda guerra ciò equivale a chiedersi quanto potrà resistere la Russia senza un afflusso regolare di capitale dall’estero.
Sempre la Bri, nelle sue statistiche di dicembre, nota che a differenza di quanto accade alla Cina, che continua ad attirare capitali dall’estero, malgrado il suo sistema finanziario sia periclitante e le sue banche ombra sempre più infestate dai crediti inesigibili, la Russia sta continuando a sperimentare deflussi di capitali: altri 11 miliardi in meno nell’ultimo trimestre del 2013, circa il 6% del totale, come d’altronde sta capitando anche all’Ungheria, l’ennesima relazione pericolosa dell’eurozona, in particolare dell’Austria, col turbolento mondo dell’est.
Ebbene: l’emorragia di capitali esteri sta lentamente erodendo l’unica vera arma di difesa di cui la Russia dispone, ossia l’ammontare internazionale di riserve.
Piano, piano, la Russia sta entrando in riserva.
(3/segue)
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Difficile pensare che noi Europei metteremmo a rischio i finanziamenti concessi alla Russia: 50 miliardi da parte della Francia, 29 dall’Italia ma sopratutto 170 miliardi d’esposizione delle banche italiane verso i Paesi dell’UE centrale e orientale.
Oltre i beni che esportiamo in Russia, s’aggiunge la dipendenza europea al metano russo di circa il 30%.
Ci sono dei seri dubbi che il shale gas americano sia un’altra bolla pronta ad esplodere.
L’avvenire ci dirà se l’Europa saprà consolidare una via di mezzo entro due potenze che in fin dei conti dispongono abbastanza per distruggerci tutti insieme.
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