Viaggio in Cina: Le nuove strade dell’impero
Poiché molto si è scritto, e ancor di più si è detto, sull’imponente sforzo finanziario, e soprattutto geopolitico, che la Cina ha messo in campo per dispiegare la sua Belt and road initiative (BRI), rimane solo da domandarsi perché in un mondo che scambia oltre il 90% delle merci via mare Pechino abbia deciso di scommettere così massicciamente sulle rotte terrestri.
Per quanto la BRI esibisca una Maritime silk road, come d’altronde una Digital silk road, non sfugge all’osservatore più attento come i cinesi stiano pazientemente tessendo la loro rete attraverso le grandi regioni dell’Eurasia, con il mare semmai nel ruolo di grande connettore con l’altro grande pezzo della BRI, dove ormai il mandarino è quasi una seconda lingua continentale: l’Africa.
Le cronache sono disseminate delle infinite tessere del mosaico delle “land route”, che si sta componendo a decine di milioni di dollari alla volta. Qua e là si scovano investimenti cinesi ora nel ferro, ora nelle strade, ora nei ponti, che hanno il chiaro intento di rafforzare quei corridoi trans-euroasiatici che vedono nell’Asia centrale, di nuovo grande protagonista del gioco geopolitico, lo snodo di raccordo fra la massa asiatica – Cina, India e Sud Est asiatico – e quella europea, con la Russia a far da connettore.
Chi si diletta di studi storici riconoscerà in questa trama una consuetudine antica. Prima dell’inizio della grande globalizzazione di marca europea, che potremmo idealmente datare dalla seconda metà del XV secolo, quando i portoghesi prima e gli spagnoli poi “aprirono” le rotte atlantiche, una parte rilevante del commercio internazionale avveniva proprio lungo le rotte terrestri che attraversavano l’Eurasia. I traffici marittimi ovviamente erano anch’essi sviluppati, ma limitati allo specchio del Mediterraneo e al corridoio che dal mar Rosso arrivava fino alle Indie. Rotte note fin dai tempi di Alessandro Magno e frequentate dagli abitanti della parte meridionale della penisola arabica in tempi ancor più remoti.
L’apice di questa globalizzazione “terrestre” si raggiunse nel XIII secolo, quando la Cina, governata dai mongoli, divenne di fatto la potenza egemone dell’Eurasia attirando verso di sé masse enormi di commercio estero. Chiunque abbia letto Il Milione di Marco Polo avrà avuto un assaggio di quei tempi. Per i mongoli le rotte commerciali erano vitali, e questo spiega perché fossero non solo ben presidiate, ma anche promosse. La pax mongolica fu un’epoca d’oro per il commercio internazionale che entrò in crisi proprio in ragione del suo successo. Nella seconda metà del XIV secolo il notevole sviluppo degli scambi contribuì alla diffusione della peste nera che, probabilmente iniziata proprio in Cina, arrivò rapidamente in Europa decimando la popolazione dell’Eurasia. Questo, unito alla scoperta delle rotte atlantiche, mise lentamente – ma definitivamente – fuori gioco le vecchie rotte centro-asiatiche, iniziando a delineare il mondo che conosciamo oggi.
Ricordare per sommicapi questa storia ci può aiutare a farci un’idea, che vale come ipotesi di lavoro, della visione che anima – o almeno contribuisce ad animare – la BRI cinese, e ci aiuta anche a dar valore alle informazioni diffuse da un recente rapporto che fa i conti e sommarizza l’entità del coinvolgimento globale della Cina nello sviluppo delle infrastrutture intorno al pianeta. Lettura obbligata, almeno per grandi linee, che serve anche a capire in che entità la visione del presidente Xi si sia effettivamente realizzata. Ce ne occuperemo.
Intanto poniamoci una domanda: in un mondo dove il commercio si svolge quasi interamente sul mare, e dove vige una chiara egemonia dei mari da parte degli Stati Uniti, che denominano, con la loro lingua e loro moneta, la globalizzazione iniziata dal secondo dopoguerra, dopo che il primo aveva segnato il passaggio del testimone fra l’egemonia europea della globalizzazione a quella statunitense, quale può essere il valore strategico, e quindi geopolitico, delle vecchie rotte euroasiatiche?
Non è importante rispondere, ma ricordare la domanda sì.
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