L’ascesa silenziosa della via della seta digitale cinese

Come nei film dove la fine s’intuisce dall’inizio, questa storia si rivela già nell’esordio del luglio 2015, quando la Cina propose la sua “digital silk road” durante un summit con l’Ue a Bruxelles dedicato proprio alla collaborazione digitale fra le due regioni, ossia la testa e la coda dell’Eurasia. Non è ancora chiaro chi sia la testa e la coda, fra Cina ed Europa. Ma se guardiamo soltanto allo sviluppo dell’economia digitale, il sospetto più che fondato è che sarà Pechino a guidare questo processo, visto che, com’è noto, l’Europa è alquanto debole in questo settore.

Questa classifica è stata pubblicata da Mediobanca alcuni mesi fa in uno studio dedicato alle websoft e non c’è ragione di credere che ci siano stati grossi cambiamenti da allora. Non ci sono grandi aziende europee nell’hi tech, a differenza di Usa e Cina, e soprattutto non sembra che l’Europa abbia molto chiaro dove vuole andare. La Cina, al contrario, ha le idee chiarissime. Sin dal 2015, ancora una volta. Quell’anno infatti fu lanciata un’altra “campagna” cinese, il Made in China 2025, con la quale Pechino ha lanciato la sua sfida all’Occidente promettendo di diventare leader (o quantomeno un player riconoscibile) nell’arco di dieci anni in dieci settori strategici della contemporaneità, il primo dei quali – e non a caso – è quello dell’ICT, che vuol dire non  solo sviluppare l’industria dei semiconduttori, ma anche le tecnologie hi tech sottintese allo sviluppo delle reti digitali, dal 5G fino all’infrastruttura dei cavi sottomarini. Tutti fronti di potenziale tensione con la potenza egemone in carica che spiegano assai meglio del deficit commerciale la ragione della guerra dei dazi scoppiata da Usa e Cina.

Il MIC 2025, come lo chiamano gli esperti, e la digital silk road, a ben vedere sono facce dello stesso poliedro che ormai rappresenta la politica cinese, il cui dichiarato obiettivo è trasformare il paese in una potenza di rango globale – economica, scientifica e militare – per la metà del XXI secolo. Sembra un tempo infinito, ma solo se si trascura di osservare le molte cose che sono successe dal 2015 fino a oggi. L’attivismo cinese è tanto intenso quanto silenzioso. E già questo dovrebbe consigliarci di prenderlo molto sul serio.

Le cronache di tale attivismo sono numerosissime. L’Action Plan redatto nel 2015 dal governo cinese per la digital silk road prevedeva la costruzione di cavi ottici transfrontalieri e network per la telefonia mobile nonché lo sviluppo dell’ e-commerce fra la Cina e i paesi partner della Belt and Road initiative. Parliamo di paesi come lo Sri Lanka, la Cambogia, l’Afghanistan, il Bangladesh, il Laos e lo Yemen, dove secondo alcune metriche meno del 20% delle famiglie usa Internet. Nell’economia del XXI secolo d’altronde, non ha molto senso investire su porti e ferrovie se poi non posso far girare software in maniera efficiente su una rete veloce e non si può contare su milioni di persone connesse alla rete per poter godere dei beni e dei servizi che si produce o si trasporta. In tal senso, lo sviluppo delle telecomunicazioni può essere la chiave di volta per spalancare gli enormi mercati del Sud-est asiatico, popolati da giovani e “affamati” users. Questo spiega le numerose incursioni delle compagnie cinesi nel business dei cavi sottomarini. La Huawei, ad esempio, prima che il governo australiano la fermasse per timori connessi alla presenza cinese in una infrastruttura strategica, aveva proposto di costruire un cavo sottomarino per collegare le Solomon Island alla rete globale. Ed è sempre la Huawei che ha dato il via a un progetto per un cavo sottomarino in Baja California, proprio sotto il naso degli Usa. L’America Latina, d’altronde sembra essere divenuta un altro punto di interesse dei cinesi. Qualora servisse un esempio, si può ricordare che di recente è stato completato, sempre a cura di Huawey, il cavo sottomarino che collega l’Africa, e in particolare il Camerun, con il Brasile. Seimila chilometri di fibra ottica destinati a far salire notevolmente le comunicazioni fra queste due parti del mondo.

Questi due esempi sono solo la punta dell’iceberg. Nel 2017 la Huawei ha firmato un accordo per costruire la Pakistan East Africa Cable Express, che oltre ad essere un acronimo assai ammiccante (PEACE) si propone di stendere un cavo dal Pakistan al Kenya passando per Djibuti, nota alle cronache per aver accettato qualche tempo fa un’installazione portuale cinese e di recente per aver firmato un accordo per infittire la collaborazione con la Cina nell’ambito dell’ultimo Forum per la cooperazione sino-africana (FOCAC) che si è svolto fra il 3 e il 4 settembre a Pechino. Oltre a ciò la Cina sta investendo parecchio per fare arrivare una connessione di qualità anche nelle zone più remote dell’Asia centrale partecipando anche al consorzio che ha la responsabilità con il cavo terrestre più lungo del mondo, il Trans-Europe Asia (TEA), oltre a partecipare, sempre con la Huawei, al progetto Diverse Route for European and Asian Markets, che ha un altro acronimo suggestivo (DREAM) ed è stato lanciato nel 2013 dalla russa MegaFon.

La collaborazione con la Russia va ben oltre, ovviamente. Di recente le cronache hanno riportato dell’imminente accordo fra i gigante cinese Alibaba con alcuni partner russi, Mail.ru, che controlla i social network più popolari del paese, e il fondo sovrano Russia Direct Investment Fund, per sviluppare piattaforme internet in Russia nell’ambito della visione cinese della digital silk road. Ma soprattutto è già in stadio avanzato la presenza cinese nelle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale dove Huawey e ZTE sono ormai ben radicate. Parliamo di paesi come Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan e Kazakistan, che con la Cina hanno anche profondi legami commerciali e progetti di sviluppo infrastrutturali assai significativi. L’avvento imminente del protocollo 5G, che vede la Cina in prima fila in questa nuova corsa all’oro, ha portato anche all’accordo che nel 2015 Pechino ha siglato con l’Ue per coordinare la ricerca sulle reti del futuro, senza trascurare le tecnologie annesse o concorrenti, come il cloud computing e la rete satellitare. Nekl 2017 Pechino ha annunciato partnership con giganti It del calibro di Cisco, Ibm, Ericsson e Diebold Nixdorf per realizzare data center e servizi fintech nei paesi attraversati dalla Bri. Al tempo stesso ha promosso il network satellitare Beidou che è un potenziale concorrente del GPS (Global positioning system) nei territorio della Bri. Il Pakistan ha iniziato già ad usarlo e sono in orbita quasi una ventina di satelliti.

Tutto ciò ha un’evidente ricaduta commerciale e un portato politico meno evidente ma sostanziale. Sponsorizzare reti, significa favorire il commercio, a cominciare da quello elettronico, che a sua volta vuol dire instaurare relazioni bilaterali come la Cina ha già fatto con Australia, Estonia, Ungheria, Cambogia e Brasile proprio per regolamentare l’e-commerce. A sua volta sviluppare commercio elettronico significa “vendere” sistemi di pagamento e indirettamente finanziamenti, come sta facendo ad esempio Alibaba in molti paesi asiatici (Filippine, Indonesia, eccetera), mentre in Africa, nel febbraio scorso è stato annunciato che le Chinese Union pay card sarebbero state accettate nel mercato africano entro la fine di quest’anno. Dulcis in fundo, Alibaba e Huawei hanno siglato accordi per sviluppare smart cities in Kenya, Malesia e persino in Germania.

E infatti sarà l’Ue la vera cartina tornasole per capire fino a che punto la via digitale cinese della seta diverrà la promessa del 2015. Molti osservatori puntano il dito sui molti rischi che porta con sé l’exploit tecnologico cinese, trattandosi di infrastrutture strategiche e per di più portatrici di informazioni, ossia il petrolio del nostro tempo. Ma al tempo altri sottolineano le enormi opportunità che le reti digitali rappresentano per molti paesi. Come sempre la verità sta nel mezzo. E si capisce molto bene se si guarda a un altro esempio che rappresenta la perfetta sintesi di quanto abbiamo detto finora: lo sviluppo delle comunicazioni digitali nell’Artico, l’ultima frontiera economica e politica del nostro tempo.

Ultima puntata: Sfida digitale fra potenze attorno al Polo Nord

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