Abbiamo imparato a far debiti ma non a produrre ricchezza

Poiché molto si parla di quanto la crisi sanitaria farà sballare le contabilità pubbliche, è opportuno ricordare che a far la differenza rispetto agli anni recenti, oltre all’entità presumibile di questo indebitamento, è il pretesto. La sostanza non cambia, e non potrebbe essere diversamente: i governi esistono perché spendono. E tanto più in un periodo in cui tutti chiedono a gran voce l’intervento del governo.

Alcune informazioni contenute nell’ultimo Fiscal monitor del Fmi ci aiutano a dimensionare e capire il problema. Partiamo da un semplice dato di fatto. Le economie avanzate già da anni stavano allentando la politica fiscale, perseguendo, oltre al solito consenso, una crescita economica alquanto asfittica.

Nel grafico di destra si vede con chiarezza che il nostro paese appartiene a quelli che hanno rilassato la politica fiscale negli ultimi anni, per cui la “botta” di debito che andremo a fare (e a chiedere) per pagare il danno socio-economico subito in questi mesi di lock down si inserisce – amplificandola – in una tendenza di medio periodo, per non dire di lunghissimo.

Ciò ha diverse conseguenze. Tralasciando per il momento quelle tecniche (come smaltire questa montagna di obbligazioni governative) e quelle sociali (come conciliare questo eccesso di debito con una società che funzioni davvero), sono le conseguenze di breve periodo che è importante tenere presenti, visto che impatteranno molto nella nostra vita di tutti i giorni.

Una di queste – altre le vedremo più avanti – ha a che fare con la capacità del nostro governo di rifinanziare i propri debiti, che ogni anno devono essere rinnovati facendone nuovi, quando già i debiti del passato hanno determinato un ammontare da rifinanziare che supera il 20% del pil.

Come si vede dal grafico sopra a sinistra, il nostro paese è il terzo al mondo per quantità di debito da rifinanziare e le stime del Fmi quotano a oltre il 25% l’ammontare di debito da rinnovare ogni anno, al lordo del nuovo debito Covid.

Da dove dovrebbero arrivare questi soldi? Molti pensano che debbano cadere dal cielo, nella forma di una qualche monetizzazione del debito, o gentilmente elargiti dall’Europa, o magari – perché no? – dalla Cina. Ognuna di queste fantasie ha delle conseguenze, ovviamente, anche se si tende a pensare che non ne avranno alcuna.

Il punto è un altro. Pure se cadessero dal cielo, questi denari, rimarrebbe il problema di un paese che ha imparato a far debito, e magari sta anche studiando come non ripagarlo, ma non ha imparato a fare economia. Che significa generare produzione e ricchezza.

Non usciremo dalla nostra crisi se non capiremo innanzitutto questo.

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