La globalizzazione emergente. Cose turche (e russe) in Libia

L’evoluzione sorprendente del conflitto libico, che da tenzone locale ha finito col diventare una notevole partita a scacchi fra Turchia e Russia, con il resto del mondo a far da spettatore, somiglia molto a una prova generale del faticoso equilibrio della globalizzazione emergente che si sta lentamente sviluppando lungo i percorsi obbligati dell’internazionalizzazione economica..

Faticoso perché la cooperazione obbligata fra le potenze emergenti (in questo caso Russia e Turchia) nel disegno di una globalizzazione che sia alternativa a quella di marca statunitense per adesso egemone, si declina simulando interessi contrapposti, che sicuramente esistono ma sono di secondo piano nella partita più ampia.

Queste sceneggiate hanno come esito semplicemente la divisione dei territori in zone di influenza. In tal senso vanno interpretati il sostegno turco al premier “legittimo” Serraj (riconosciuto dall’Onu) e quello russo al “golpista” Haftar. Il che ci dà la cifra politica di questa globalizzazione emergente: policentrica e quindi vocazionalmente instabile.

Nel caso della crisi libica, l’epicentro è ovviamente il Mediterraneo Orientale, dove la Turchia, ormai sempre più compresa nella interpretazione ottomana della sua storia contemporanea, ha giocato le sue carte con notevole spregiudicatezza, sorprendendo anche i tanti che pensavano che il paese non fosse pronto a usare le armi per sostenere il suo posizionamento nelle aree che giudica strategiche per il suo avvenire. E per capire quanto sia importante la Libia per la sicurezza della Turchia, basta ricordare che la costa meridionale turca si affaccia proprio sulla Cirenaica in mano ad Haftar. Non a caso pochi mesi fa la Turchia ha ipotizzato una propria zona economica esclusiva proprio con la Libia.

I turchi non hanno alcun pudore a usare l’esercito. E questa è una lezione da non dimenticare quando si osservi non solo l’altra crisi dove il tandem russo-turco gioca da protagonista, ossia quella siriana, ma soprattutto la situazione a Cipro e nel Dodecanneso, dove l’Ue – dove partecipa la Grecia, avversaria storica dei turchi – ha un interesse diretto. E basta ricordare le polemiche sorte in occasione della firma, il 2 gennaio scorso, del gasdotto EastMed, fra Grecia, Israele e Cipro, al quale dovrebbe partecipare anche l’Italia, che istituisce una rotta energetica che esclude completamente la Turchia.

In teoria anche l’Ue dovrebbe interessarsi della Libia, se non altro perché da lì partono orde di migranti che spaventano più di ogni cosa le opinioni pubbliche europee. Ma per il momento sembra valga la regola dell’ognun per sé, con la Francia – ad esempio – a dare il suo sostegno ad Haftar, aggiungendosi a Russia, Egitto ed Emirati Arabi, e l’Italia che classicamente tentenna. Dal canto suo la Turchia, anziché con l’Europa, con la quale sembra capirsi sempre meno, stringe sempre più il suo rapporto col Qatar.

Proprio pochi giorni fa le banche centrali di Qatar e Turchia hanno emendato l’accordo di swap che risale al 2018 ampliando la collaborazione finanziaria fra i due paesi, che oltre a dover sostenere costose posture internazionali, devono fare i conti con le difficoltà economiche indotte dalla crisi pandemica. La Turchia, in particolare, continua ad abbassare i tassi di sconto malgrado l’inflazione e le sue difficoltà valutarie, dovendo anche fare i conti con un notevole aumento del debito pubblico, cresciuto del 30% ad aprile su base annua, e l’assottigliarsi dei suoi asset esteri, alla fine di marzo in calo del 7,3% rispetto a fine 2019. I dati di aprile confermano gli andamenti declinanti delle riserve turche, diminuite del 6,3% rispetto a marzo, con le riserve di valuta pregiata addirittura in calo del 15,5% a fronte di un aumento di quelle in oro. In questo contesto, il sostegno valutario qatarioto non può che essere benvenuto.

Il problema semmai, è che la crisi libica, con il suo reticolo di alleanze, fraintendimenti e dissimulazioni replica il copione che sta andando in scena su tutto lo scacchiere mediorientale, dove il Qatar, già finito sotto embargo dei sauditi e di alcune monarchie del golfo nel 2017, si trova improvvisamente a celebrare con i rivali l’accordo fra il presidente afgano Ashraf Ghani e il suo rivale Abdullah Abdullah, che mette fine (dovrebbe mettere fine) a un lungo conflitto politico che ha bloccato la pacificazione del paese.

Dal deserto libico alle montagne afghane, il filo che guida gli eventi si snoda mostrando con chiarezza il peso specifico del vero convitato di pietra di tutte queste tenzoni: l’Iran. La cartina sotto pubblicata da Limes aiuta a farsene un’idea.

La partita russo-turca sulla Libia sembra la prova generale di quella che si andrà a giocare lungo tutta la dorsale meridionale dell’Eurasia, che dall’Afghanistan si congiunge all’Asia centrale e da lì alla Cina, il terzo paese, con Russia e Turchia, che gioca da protagonista della globalizzazione emergente.

Seguire la traccia del petrolio e del gas può servire a intuire qualche movimento, ma appartiene alla logica del policentrismo euroasiatico la circostanza che saranno sempre più gli eserciti a segnare i solchi attorno alle zone di influenza. E questo spiega bene perché l’Europa sia assente da questo gioco, a differenza degli Stati Uniti, che però mostrano di volersi impelagare sempre meno nelle complicate geometrie di paesi tanto distanti da loro.

Se l’Europa, che non riesce a decidere di mettere in comune uno strumento fiscale, e figuriamoci quindi un esercito, è assente, l’Italia è divenuta effimera. Il fatto che abitiamo nel Mediterraneo non serve, a quanto pare, a capire che le sorti di questo bacino d’acqua avranno comunque a che fare con la nostra. E’ sempre stato così. Gli Ottomani avevano lasciato la Libia nel 1912, dopo una sanguinosa guerra proprio con l’Italia. Oggi la Turchia che sogna il passato è tornata. Noi, che abbiamo dimenticato il nostro passato, non ci siamo più.

Un Commento

  1. renzo

    Mi scuso se uso questo post per porre un interrogativo riguardante il post precedente.
    Mettiamo che tutto avvenga secondo gli auspici della Commissione.e che col Recovery all’Italia arriveranno 81 miliardi a fondo perduto. Il fondo si finanzierebbe prevalentemente tramite l’emissione di titoli ,che raccoglieranno liquidità sul mercato, e se ho capito bene il rimborso di tali titoli partirebbe nel 2028. Se la quota italiana citata è trasferimento a fondo perduto, chi rimborserà gli investitori, dato che viene anche detto che comunque non si avrà mutualizzazione del debito?
    Lei ci ha capito qualcosa ?
    Grazie.

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      penso sia saggio provare a capirci qualcosa una volte che le buone intenzioni diventino azioni concrete. Questione di priorità e tempo limitato, comprenderà. La notizia mi sembra tuttavia che l’Ue c’è e batte un colpo. E che l’Ue è cosa molto diversa dai singoli stati che la compongono. Forse è il caso di iniziare a riflettere su questo.
      Saluti

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