L’inflazione “fiscale” degli eurogoverni

Fare la cosa giusta nel momento sbagliato, o quella sbagliata nel momento giusto: non fa poi tanta differenza. Ciò che rileva, e che viene debitamente sottolineato nel recente quarterly report della Commissione Ue sull’Eurozona, è che i governi dell’area nell’ultimo ventennio (almeno) hanno fatto politiche fiscali espansive quando i tempi erano buoni, anziché mettere il fieno in cascina, e hanno stretto i cordoni quando le cose si sono volte al peggio. Comportamenti pro-ciclici, dicono gli economisti. La classica pioggia sul bagnato della sapienza popolare.

Questa attitudine, che sconta una capacità ancora poco avveduta di gestire il bilancio pubblico, figlia di un’evoluzione politica ancora poco matura (se ne parla in questo libro, magari date un’occhiata), è all’origine di molti dei nostri problemi, a cominciare dall’elevato livello del debito pubblico (anche privato, ma questa è un’altra storia) e a finire dall’inflazione di oggi, che deve molto alle politiche fiscali di molti governi, non solo europei. Di europeo abbiamo un set di regole, il famoso patto di stabilità adesso in discussione, che obbliga i paesi con debito eccessivo a stringere la cinghia mentre non richiede alcuna azione a quelli con surplus eccessivi. Un framework alquanto asimmetrico che ha alimentato interminabili discussioni.

Ma a prescindere dalle cause, che sono sempre motivo di polemiche piuttosto che di ragionamenti, sono gli esiti che meritano di essere osservati. Ecco come la racconta la Commissione: “La politica fiscale nell’UE è rimasta ampiamente pro-ciclica durante tutto il ciclo economico, contribuendo così alla persistente crescita dell’inflazione e senza perseguire la priorità europea di generare una tendenza sostenuta di crescita degli investimenti”. La botte vuota e la moglie assetata, in pratica. E non sembra che abbiamo ancora capito la lezione.

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