Cartolina. Centenni di solitudine

Quando leggo che in Italia, in barba alle crisi, le pandemie, il caldo e il freddo anomali e tutte queste amenità, aumentano i centenari, mi complimento con la resilienza della nostra gente più attempata, seguendo quell’istinto arcaico che associa a una lunga vita la benedizione della buona sorte. Ma è così davvero? Non riesco a figurarmi la vita di questi centenni, che avranno visto morire chissà quanti amici e parenti meno fortunati, e che magari affrontano l’inverno della loro vita senza un conforto familiare o di qualsiasi altro genere. Da soli. E allora mi chiedo: davvero è una cosa desiderabile vivere così a lungo? Ve lo dirò appena ci arrivo.
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La percezione sociale della vecchiaia si sdoppia nelle immagini popolari del “buon vecchio” e del “vecchio bisbetico”. Quando la proprietà è istituzionalizzata, l’età non è una ‘deminutio capitis’ ma un dato positivo, poiché il suo sostrato materiale è costituito da ciò che i vecchi hanno potuto accumulare nel corso della loro vita: beni immobiliari, merci, denaro. L’ideologia giustifica allora il potere attribuito agli anziani: hanno accumulato numerosi anni di vita e l’età diviene, di per se stessa, una qualifica. Al contrario, i vecchi appartenenti alle classi sfruttate perdono ogni valore quando perdono la loro forza-lavoro. Inutili e ingombranti, essi dipendono essenzialmente dalla famiglia, la quale non è più in grado di assisterli in modo adeguato se non trasferendo questa funzione a soggetti terzi: gli ospizi o, se si preferisce un termine più anodino, le residenze socio-assistenziali. Così, le società contemporanee si trovano a fronteggiare un fenomeno dalle pesanti conseguenze come quello dell’invecchiamento della popolazione. Sennonché personalmente non riesco a dare una definizione della vecchiaia che non sia, almeno in apparenza, tautologica: «La vecchiaia è ciò che capita alle persone che diventano vecchie». In sostanza, una volta constata l’impossibilità di racchiudere una pluralità di esperienze in un concetto o anche solo in una nozione, riconosco che l’esperienza personale non fornisce indicazioni univoche circa il momento in cui si raggiunge la vecchiaia. In effetti, se è già difficile pensare la morte, è ancor più difficile, forse impossibile, pensare la coesistenza con la morte, che è lo ‘status’ in cui sembra consistere la vecchiaia. Riflettendo in positivo, ritengo allora che, se si vuole evitare che la vecchiaia sia una comica parodia della nostra esistenza precedente, l’unica soluzione è quella di continuare a perseguire dei fini che diano un senso alla nostra vita: dedizione ad altre persone, a una comunità, a una qualche causa, al lavoro intellettuale o a quello creativo.
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Salve,
Siamo d’accordo, specie sulla conclusione. Purché ci assistano la salute e un po’ di buona sorte.
Grazie per il commento
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